XIII

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-Devo andare, Zafiraa, ci vediamo dopo, nella speranza che tu non scappi di nuovo. - Mustafà le sorrise, un vero sorriso, accarezzandole la guancia. Si guardarono per un po' negli occhi, imbarazzati e non sapendo bene cosa fare; nessuno dei due era pratico di quel genere di cose. Non sapevano cosa fosse l'amore romantico fino a qualche secondo prima e adesso si trovavano catapultati in quella situazione strana, ma eccitante. - Devo andare da mio padre, sarà talmente arrabbiato con me per averlo ignorato! -
-Va bene, sì, ci vediamo. - Zafiraa abbozzò un sorriso, non alzando un muscolo e restando ferma, schiacciata contro la parete solida, molto più ferma delle sue gambe che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro. Si sentiva andare a fuoco, maledizione a lui!
-Aspettami in camera mia, non ti muovere da lì per nessuna ragione al mondo! -
-E tu non fare pazzie con tuo padre, ricorda chi sono io e chi sei tu, o almeno per il momento. -
-Mi conosci, non faccio mai pazzie! - Mustafà le sorrise, stampandole un veloce bacio sulle labbra, prima di fuggire via, veloce come il vento.
-E proprio perché ti conosco che so di cosa sei capace quando sei felice. Sei sempre imprevedibile. - Sussurrò.
Lei, aggrappandosi ai muri, riuscì ad uscire da quell'umidiccio passaggio segreto, riuscendo anche a respirare dell'aria pura. Si fermò su uno dei balconi che davano sull'enorme giardino e guardò in alto, su nel cielo azzurro e privo di qualsiasi nuvola. Il sole le pizzicava la pelle, ma lei non ci badò. Aveva imparato a sopportare il dolore, dopo una vita, e non se ne accorgeva quasi più.
Aveva bisogno di qualcosa o qualcuno che la riportasse alla realtà! Che cosa avevano fatto? Erano forse fuori di testa?
-Non andrà a finire bene. - Zafiraa sussultò, non avendola sentita arrivare. Si inchinò, abbassando lo sguardo e mettendosi in un lato all'ombra con le mani congiunte. La sultana era al suo fianco e la guardava in modo freddo e con un sopracciglio sollevato. Zafiraa deglutì, drizzando le spalle. Che cosa aveva fatto adesso, perché la guardava così?
-Che cosa, mia signora? Non capisco a cosa voi vi riferiate.-
-Lo sai benissimo, Zafiraa. Tu e il mio figliastro Mustafà. Anche un cieco non vedrebbe quello che provi nei suoi confronti e non cercare di negarlo, perché ci sono passata prima di te. -
-Voi non sapete proprio niente di me e di Mustafà, mia signora. Non sono affari che vi riguardano. - Zafiraa la guardò per la prima volta negli occhi e fu come guardarsi allo specchio. Quella situazione la destabilizzò per qualche secondo, prima di riprendersi.
-Oh, certo che lo so, figliola. -
-Non sono vostra figlia. -
Hurrem sorrise, squadrandola da capo a piedi. - Certo che non lo sei. Come potresti? Ad ogni modo, non sognare a lungo. Sei solo una serva, Mustafà è un principe ed è giusto che lui si sposi e abbia degli eredi da delle principesse o per lo meno da donne di alto lignaggio, non da nullità come te. Metti fine a tutto questo, prima che lo faccia lui e ti spezzi il tuo povero e ingenuo cuore. - Hurrem le si avvicinò, afferrandole il viso con una mano. Zafiraa la spinse via, guardandola male.
-Voi eravate la puttana di vostro marito, eppure siete qui adesso. Cosa mi impedisce di fare lo stesso? - Zafiraa si inchinò, nascondendo un sorriso. - Vostra magnificenza, con permesso, devo andare a sbrigare le mie mansioni da serva inutile quale sono. -
Zafiraa le diede le spalle, andando nell'unico posto nel quale avrebbe voluto essere. Da Mehmed a sentirsi coccolata e capita. Dopotutto, adesso, era suo cognato.

Mustafà, prima di recarsi da suo padre, andò a cambiarsi. Indossando il primo completo che aveva trovato nel suo baule. Il sultano era solo nell'enorme sala del trono, seduto sulla sua sedia regale. Della onnipresente moglie non c'era nessuna traccia.
L'erede al trono si inchinò, sorridendo colpevole, quando il padre gli rifilò una occhiataccia. Era talmente invecchiato, pensò tra sé, che non sembrava neanche lui. Aveva lo sguardo perso tra i ricordi, annacquato in lacrime che versava ormai da tempo per la perdita di una fratello e per il senso di colpa. La vita lo aveva premiato, era stata più che generosa con lui, avendogli dato un titolo, ricchezza, amore, anche se la donna che amava e lo amava era discutibile, e tanti, innumerevoli figli, che avrebbero continuato a portare il suo nome per generazioni intere. Aveva vissuto tanti anni, e adesso che era vicino ai cinquanta, poteva ritenersi soddisfatto della vita che aveva fatto. Ma per tutti c'è dolore, ci sono i sensi di colpa e la sua portava un nome preciso: Ibrahim.
E probabilmente questo senso di colpa, unito allo stress di dirigere un impero vasto come quello ottomano e in continuo ingrandimento, lo aveva fatto invecchiare in dismisura.
-Padre, sono venuto a scusarmi per il mio comportamento inammissibile di poco fa. -
-Ah, bene, vedo che tu non abbia perso del tutto le buone maniere, Mustafà. -
-Lo so, so di aver sbagliato e di essermi comportato in maniera molto scortese con tutti e soprattutto con Fatma, che è così una dolce e semplice creatura, ma avevo delle questioni personali da sbrigare. -
-Quanto personali, Mustafà? Talmente più importanti da farti ignorare la tua futura moglie? - Il sultano alzò il sopracciglio, serio. Mustafà, nell'udire quelle parole, aggrottò le sopracciglia.
-Futura? Ma io non ho ancora deciso. Avevamo un patto, padre. -
-Patto che tu non rispetti affatto. Pensi solamente ad andare dietro a quella servetta malata. Devo intervenire io per farti riprendere, Mustafà, oppure ci riesci benissimo da solo? Oltre ad essere mio figlio, sei prima di tutto un mio suddito e come tale hai il dovere di portare rispetto a me e ai miei ospiti. - Selim assunse una sfumatura di rosso, si stava alterando.
-Mi dispiace, padre, non accadrà mai più. Voi avete ragione e sarò pronto a scusarmi con Fatma tutte le volte necessarie per ricevere il suo perdono. Non intendevo ferire la sua persona in nessun modo. -
-Eppure lo hai fatto. Devi cominciare a comportarti bene, caro figliolo, mettendo da parte la tua immaturità e pensando bene alle scelte che fai. Altrimenti sarò costretto a prendere dei provvedimenti seri. -
-Ovvero? -
-Escluderti dalla successione al trono. Se mi deluderai, cosa che i tuoi fratelli non fanno, sarò costretto, alla mia morte, a dare il mio posto a tuo fratello Selim. -
-Che cosa? Padre non starete dicendo sul serio! E' mio di diritto come tuo primo figlio. Mi sono allenato per tutta la vita. Ho rinunciato a tutto per diventare un degno erede! - Mustafà non sapeva descrivere tutte le emozioni che provava in quel momento. Deluso, arrabbiato, messo da parte dal suo stesso padre. C'era qualcosa di peggio?
-Allora fa' in modo che tutto questo finisca e cerca di non deludermi. Tu e Fatma siete giovani e avrete modo di innamorarvi col tempo. L'amore è sopravvalutato molto spesso. Quella serva non è alla tua altezza e sarà solo una piccola infatuazione. -
-Sì, padre, avete ragione. Oggi stesso andrò a scusarmi con Fatma e le chiederò se vuole farmi il piacere e l'onore di diventare mia moglie. - Sapeva fosse inutile discutere con suo padre, doveva avere ragione, era il sultano e aveva il potere di fare tutto ciò che aveva detto.
-Benissimo. A quel punto potremmo organizzare tutto il matrimonio. -
-Posso andare? -
-Sì, certo. E Musafà, hai fatto la scelta migliore, non te ne pentirai. -
Il principe ereditario si inchinò e senza degnare di un altro sguardo il padre, andò a cercare la sua futura moglie.



Rinnegati: Neve e FuocoWhere stories live. Discover now