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ROSA CANINA

Il mattino seguente, Haneul venne a prendersi Jun, concedendo finalmente un po' del suo tempo anche all'unica giornata che aveva con sua figlia.
Fortunatamente, Yoongi continuò a dormire in camera, e Jun mantenne uno stretto silenzio sugli avvenimenti della scorsa nottata.
Era abbastanza intelligente da capire che l'insolente ficcanasare di sua madre si sarebbe potuto riaccendere nei miei confronti a tale notizia, e avrebbe trascinato in basso sia me, che Yoongi.
«Divertiti, piccola.»
Le baciai la fronte, salutandola, e lei ricambiò baciandomi sulle labbra.
«Ricorda di lasciarmi qualche pancakes, se li fai!» Mi esclamò, ed io annuii.
Soltanto il sordo rumore della pesante porta che si chiudeva destò Yoongi, che prese a rigirarsi nelle lenzuola.
Non mi accorsi del suo risveglio fin quando non parlò, ora fermo sulla soglia della cucina, intento ad osservarmi mentre preparavo il caffè.
«Profumo di rosa canina.»
Lo sentii dire, e, quando mi girai, lo scorsi stropicciarsi gli occhi con una mano, ancora visibilmente assonnato.
«Puzzavi, ieri sera, e non ti avrei fatto dormire nel mio letto in quelle condizioni.»
Yoongi arrossì a quei ricordi, e si portò le braccia al petto, che si strinse in un intreccio.
Era bello anche da appena sveglio: con i capelli scompigliati, una mia maglietta e i boxer.
Era bello con l'aria assonnata, le gote rosse al pensiero che l'avessi visto nudo e l'aria sfacciata di chi finge di non interessarsene.
Era bello, e più passava il tempo, più me ne accorgevo.
«Siediti, ora, ho preparato la colazione.»
«Non ho molta fame.» Mormorò, accomodandosi non appena io feci lo stesso.
«Devi mettere qualcosa sotto i denti, sei a stomaco vuoto. Almeno qualcosa di leggero.»
Gli passai le fette biscottate e la tazza di caffè, che lui prese con ambedue le mani.
«Lo hai già zuccherato?»
«No, scusa. Due cucchiaini, giusto?»
Yoongi annuì, e si lasciò servire con pazienza.
In realtà, la sua pazienza era pronta ad adagiarsi su una sfera differente, che aspettava soltanto di essere portata alla luce.
Fremeva, nel silenzio, mentre contava i secondi che impiegai a formulare la domanda, e lui la risposta.
Sapeva, per questo quando strappai il cerotto, rimase impassibile.
«Yoongi, dobbiamo parlare di ieri sera.»
«Dobbiamo?» Cantilenò soltanto, con una spavalderia che non era solito indossare, che mi lasciò amareggiato.
«Precisamente, di cosa?»
Yoongi si ritrasse dal mio stesso sguardo, come un bambino spaventato che, per proteggersi, fa leva sulla propria voce.
Lo sentii costruire una parete di vetro con la speranza che fosse abbastanza forte da separarci, e si lasciò andare soltanto quando, dopo pochi secondi, la buttai giù come se niente fosse.
«Di te. Mi hai fatto davvero preoccupare, Yoongi, e sono tuttora preoccupato. Cos'è successo, ieri sera?»
Annaspò, le dita strette intorno alla tazza di porcellana.
«Nulla, Namjoon, soltanto una festa e amicizie sbagliate.» Si alzò di scatto, e con furia si precipitò sul suo giubbotto lasciato in un angolo della stanza, sulla sedia.
Frugò nelle tasche, estrasse il suo pacchetto di sigarette e se ne portò alle labbra una, che usò come giustificazione per uscire fuori al balcone, alla ricerca di aria.
«Puoi parlarmene, Yoongi? Perché non volevi tornare a casa?»
Mi appoggiai allo stipite, lo aspettai.
Le gambe gli tremavano mentre il mio sguardo le sfiorava, e un po' mi pentii di aver aperto l'argomento, ma il mio bisogno di sicurezza mi obbligò a non demordere.
Piccolo Yoongi, mi dispiace tanto.
«Perché i miei coinquilini sono i miei unici amici, perché sono stanco di essere usato da loro. Si ricordano di me soltanto dopo aver bevuto, quando le mie labbra sono le uniche disponibili e il mio collo il luogo dei loro sfoghi.» I suoi occhi erano tornati lucidi, e mentre parlava, aveva preso a gesticolare con nervosismo, manifestando la sua rabbia. «Non potevo tornare, Namjoon, e so di essere anch'io stupido, perché accetto qualsiasi bicchiere mi passino e non respingo le loro mani. Ma, nella follia del momento, non ci riesco.»
Il cuore mi si strinse in una ferrea morsa, così come sentii la bocca asciutta.
Non mi piaceva la nuova visione che avevo di Yoongi, e non riuscii a fare altro che andargli vicino ed abbracciarlo, aspettando che le mie braccia facessero da collante e che le sue lacrime ricucissero le profonde ferite.
Yoongi lasciò cadere a terra la sigaretta, e con lentezza ricambiò l'abbraccio, stringendo tra le sue esili dita il tessuto della mia maglietta.
Piangeva, silenzioso, soffocando i singhiozzi con del veleno e con la profonda speranza che io riuscissi a cambiare qualcosa, a sgretolare il caos.
«Yoongi, non sei stupido.» Sussurrai, accarezzandogli i capelli. «Puoi rimanere qui quanto vuoi, se ti è di conforto, o altrimenti ti aiuterò a trovare un altro appartamento nel quale stare.»
«Perché stai cercando di aiutarmi, Namjoon? Non hai alcun legame con me, né di sangue, né di profonda amicizia. Perché ti dai tanto da fare?»
Scrollai le spalle, mi staccai dall'abbraccio con un sorriso, vedendo la sua schiettezza come ingenuità.
Forse, questo fu il mio primo errore di una lunga serie.
«Non mi piace lasciare le persone in difficoltà. Se posso dare una mano, sono sempre a disposizione.»

Ma tu questo lo sapevi già, vero, Yoongi?

Daddy Issues
—The Neighbourhood
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note

Questa è la mia fuga da una cena struggente.
Un tentativo, più indecente della cena stessa.

Spero che ai vostri occhi non risulti tanto orripilante.

-Stefania

Pesca Vaniglia [k.nj, m.y]Where stories live. Discover now