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LE SPINE, LE SPINE!

(ᴄᴏᴍᴇ ᴘᴜɴɢᴏɴᴏ ғᴀɴɴᴏ ᴍᴀʟᴇ)

Pioveva a dirotto quel pomeriggio.
Il vento scuoteva le foglie degli alberi come i miei pensieri si agitavano cruenti nella mia testa, mozzandomi il respiro già rubato da quel disgraziato bambino dagli occhi grandi.
«Voglio andare a cena» mi aveva detto, con le mani ferme nelle tasche dei suoi jeans, quasi a dirmi "da qui non si muovono se non mi accontenti".
Le sue labbra erano screpolate quei giorni, vittime di troppi baci dati in vicoli bui e al freddo di serate invernali.
Quella non era di certo la sua stagione, e si lasciava consumare da quella che, invece, era la mia.
Mentre Yoongi era figlio del mare e dei caldi granelli di sabbia, io ero i baci dei piccoli fiocchi di neve che ti si incastrano tra i capelli quando cammini per strada, figlio del gelo che ti fa arrossare il naso come una piccola ciliegia e spaccare la pelle disidratata delle nocche. Ciliegia, Ciliegia.
Ormai avevo preso il lusso di chiamare Yoongi "ciliegina" per sottolineare la splendida forma del suo piccolo naso.
«Voglio andare a cena, Namjoon» ripeté, sedendosi sull'orlo del divano, l'espressione così seria da far sentire il freddo anche dentro la stanza, nonostante il riscaldamento acceso. «Non ci siamo mai andati»
«Ci siamo andati la domenica scorsa, ciliegina» la sigaretta accesa trionfava tra le mie labbra, bruciando quella bugia con la propria cenere. «E il sabato prima, e la domenica prima ancora»
«Non me lo ricordo»
Piccolo, piccolo bambino dispettoso. Cercava sempre di attaccar briga quando aveva nella testa un dubbio, un problema, su di me, su di noi.
Era il suo modo per farsi sentire, notare, per strappare ancora di più mie attenzioni.
E se gli altri vedevano infantilismo dietro quel suo tono acuto, io scorgevo una profonda intelligenza. Sapeva come ottenere ciò che più desiderava cogliendo il modo più astuto possibile, o una tua debolezza.
La sua lingua biforcuta mi aveva più volte sfiorato le ginocchia.
«Non mentire, Yoongi» lo sgridai, con tono secco, aspro, da un lato immune alle sue guance rosse di vergogna. «Puoi chiedermi di portarti a cena di nuovo senza farlo, magari con gentilezza»
Spensi la sigaretta nel posacenere, e mi avvicinai a lui, che sembrava ora un pezzo di legno. Rigido nelle sue volontà.
E mi irrigidii anch'io quando feci per sfiorargli la guancia e lui si ritrasse, quando cercai di avvicinarlo di nuovo e lui scappò dall'altro lato del divano! Come avessi la peste! Come l'avessi appena offeso!
Non mi guardava neppure più in faccia: aveva estratto il telefonino dalla tasca e aveva fissato lo schermo, prima di aprire una conversazione e digitare poche singole lettere.
«Ciliegina, cosa stai facendo?»
Non rispose, e questo iniziò ad innervosirmi. «Che hai, oggi, Yoongi? Cosa c'è che non va?»
«Nulla, hai ragione, semplicemente mi è passata la voglia di uscire e di stare con te!»
E prima che riuscissi a rispondergli, il suo salvatore gli fece squillare il telefono, e lui rispose in tutta furia prima di alzarsi.
«Dove vai? Vieni qui, Yoongi, smettila di fare così»
Cercai di avvicinarlo a me, prendergli la mano e farlo ragionare, cullarlo tra le mie braccia e baciargli più volte il viso, ma non erano questi i piani che Yoongi aveva programmato per quella sera. Non era questo ciò che desiderava.
«Esco, mi ha appena scritto un mio amico chiedendomi di uscire» mi scansò una seconda volta, prese una sigaretta dal mio pacchetto e si infilò il giubbotto. «Spero non ti dispiaccia se passo una serata in compagnia dei miei amici. Da quando ci sei tu, non li vedo più»
Non confondete i suoi cambi repentini con pazzia. Oh, no, Yoongi non era affatto pazzo. Era un abile manipolatore, seduttore, le sue labbra intonavano alla perfezione la melodia dell'inganno.
Perché in quei pochi secondi mi aveva spaesato, si era avvolto intorno al collo la mia sciarpa e si era messo nelle tasche l'accendino nero a cui tanto tenevo.
«Chi è questo amico?» fu la prima cosa che riuscii a formulare, e mi accorsi soltanto dopo di avergli dato solo una tremenda soddisfazione.
«Che t'interessa? È un mio amico d'università, con il quale ho studiato molti pomeriggi» come calcò la parola "studiato", Yoongi! Quasi volesse dargli un significato differente, e lo percepii come uno schiaffo in piena gota.
Cosa mi era sfuggito?
«Chi è, Yoongi, perché non me ne hai mai parlato?» poggiai una mano sulla porta, con la speranza di tenerlo lì, bloccarlo sull'uscio e riuscire a non farlo più andare via. «Chi cazzo è?»
«Taehyung, si chiama Taehyung! È un anno più grande di me e sicuramente molto più intelligente di te» sputò fuori, stringendo la sigaretta spenta tra l'indice e il medio. «Ma non sono affari che ti riguardano dato che non sei neanche il mio ragazzo!»
Ecco l'accusa. Ecco il pretesto.
Lo capii quando mi spinse e se ne uscì in tutta furia, senza voltarsi.
Yoongi aveva cercato quella discussione per allontanarsi da me quella sera. Per non farmi andare via. Per farmi sentire in colpa.
Mi aveva stretto un cappio della sua rete intorno al collo, tessuto con gelosia e rabbia.
Non ero il suo ragazzo: non avevamo mai discusso sul fidanzamento, sullo stare insieme. Non era un titolo ufficiale a doverci unire.
Lui era mio. A prescindere dal resto, Yoongi era mio, mio. Non di Taehyung, né di nessun altro! Yoongi doveva essere soltanto mio, e lo capii quella sera quanto di lui avessi bisogno. Di quanto lo volessi.
Sarebbe tornato. Lo sapevo, ma non potevo aspettarlo.
Avevo la sua sceneggiata che scorreva cruda nel mio petto e l'amarezza di voler chiarire sulla punta della lingua.
Così mi infilai il cappotto, presi le chiavi di casa e uscii anch'io.

La nostra storia iniziò da quel sabato sera, signor Park, iniziò tutto al buio delle undici e con il bruciore di tre cicchetti di assenzio verde.

John Wayne
Cigarettes after sex
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note

Sto lavorando ad una piccola sorpresa per questa storia, forse qualcosa di aspettato e banale, ma che racchiude pezzi del mio cuore.
Chissà se riuscirò mai a finirla o se effettivamente prenderà vita, lascio la penna al fato.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito non l'ho corretto molto.

Grazie per continuare ad aspettarmi e leggere le mie storie.

Stefania
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Pesca Vaniglia [k.nj, m.y]Where stories live. Discover now