Capitolo #1

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× POV LUNA ×

"If you wanna be my lover, you gotta get with my friends
Make it last forever, friendship never ends."
Sento in lontananza la suoneria della sveglia impostata al telefono, una stupida canzone delle Spice Girls. Ogni volta devo alzarmi per spegnerla, mi dà ai nervi quella canzone. Di conseguenza la sveglia fa il suo dovere. Ma quella sveglia io la imposto solo per il mio giorno libero, quando devo impormi di svegliarmi e non poltrire. Per gli altri giorni ho l'orologio biologico che fa il suo corso. Di sicuro sarà un sogno.
"If you wanna be my lover, you have got to give
Taking is too easy, but that's the way it is."
Apro gli occhi di soprassalto. Non era un sogno, era la sveglia delle 08:30 che suonava realmente.
Sbianco. A quest'ora dovrei già essere al supermercato.
Sono distesa sul divano e indosso ancora la divisa da lavoro. Poco male, sono già pronta per correre. Davanti a me ho il computer aperto ma con lo schermo completamente nero.
Sbianco di nuovo.
Ho salvato il file?
Salto giú dal divano e collego il computer al filo di alimentazione, lo accendo e attendo quello che mi sembra essere un secolo. Porto il puntatore del mouse al file word 'RACCONTI' e ci clicco sopra. Scorro le pagine, fino ad arrivare all'ultima dove scopro che l'intero racconto che avevo scritto la notte prima facendo tardi, dormendo piú del dovuto e svegliandomi tardi, é andato perso.
CAZZO! penso infuriata. Spengo velocemente il computer, infilo le scarpe e prendo la mia borsa per poi fiondarmi fuori dal mio appartamento in centro a Bologna.
La cosa orribile di vivere in centro a Bologna? I quaranta minuti di autobus che devo sorbirmi ogni mattina e ogni sera per arrivare all'Esselunga dove lavoro. Fortunatamente arriva non appena io metto piede alla fermata del bus e salgo con le cuffie alle orecchie.
Sono arrabbiata con me stessa. In primis perché odio essere in ritardo, soprattutto quando devo lavorare. Ho sempre fatto affidamento al mio orologio biologico che mi svegliava alle sette del mattino, ma oggi ho imparato che non bisogna mai fidarsi troppo di nessuno.
Neppure di sé stessi.
Soprattutto di sé stessi, perché la seconda cosa che mi fa arrabbiare é il non aver salvato il nuovo racconto e, di conseguenza, averlo perso.
Mi sono trasferita a Bologna all'inizio dell'anno per iniziare una nuova vita, ma soprattutto avere piú idee, piú spunti per la mia vena artistica. Volevo scrivere un nuovo racconto e magari avere piú possibilità di pubblicarlo. L'idea era arrivata, anche piuttosto in fretta, durante uno dei miei trekking solitari tra i colli bolognesi. Avevo iniziato a scrivere una raccolta di racconti, come filo conduttore i segni zodiacali nell'ottica dell'astronomia. Avevo creato una tabella in modo da non lasciare niente al caso e, seppur a rilento, la scrittura stava procedendo bene.
Ma ancor prima avevo preso un monolocale in affitto in centro a Bologna, terzo piano vicino ai portici e alla straordinaria Torre degli Asinelli. Avevo cercato lavoro e ho iniziato a lavorare nella famosa Esselunga di quartiere lontanissima dalla mia casa, ma che mi permetteva di pagare l'affitto e le varie bollette. La vita procedeva tranquilla, fin troppo tranquilla.
Guardo l'orologio. Le 09:12, il mio capo si arrabbierà tantissimo. Scendo dall'autobus e inizio a correre velocemente verso il supermercato, fortunatamente sono solo dieci minuti a piedi.
Appena varco la soglia dell'Esselunga, il mio caro datore di lavoro si presenta davanti a me con il volto scuro e cartellina alla mano, pronto a scrivere il mio ritardo e ricordarmelo per il resto della vita.
- Luna, sei in gravissimo ritardo. - mi dice serissimo.
- Lo so, mi spiace, non succederà piú. - il mio sguardo é fisso sul suo. Mentalmente mi ricordo di impostare la sveglia anche per i giorni lavorativi.
- E sarà cosí oppure non avrai piú un lavoro. - schietto, sincero, veloce. Uno schiaffo in pieno viso.
Incasso il colpo, annuisco e mi incammino verso la cassa numero 4.
- No aspetta. - mi blocco e mi volto di nuovo verso di lui. - Ti voglio ricordare che sul posto di lavoro bisogna venire puliti. -
Cercando di non farmi notare, mi annuso cercando di capire se puzzo o meno.
- Come scusi? - chiedo, facendo finta di niente.
Lui indica un punto sulla mia polo e noto, con grande dispiacere, che c'é una macchia su di essa. Sicuramente sarà stata la pizza con mozzarella di bufala, o il ketchup delle patatine. Incasso ancora una volta.
- Ora, so che per te del sud la pulizia é un qualcosa di alieno, ma ora sei a Bologna, devi adeguarti all'acqua e al sapone. - dice tutto questo ad alta voce in modo che lo sentano tutti, non solo io, ma anche i miei colleghi e i clienti che stanno comprando in quel momento.
Lo guardo furiosa. Mi mordo la lingua perché so che non devo rispondere. Piú di una volta le mie parole mi sono costate care, ma non posso ribattere. Anche perché oltre alle parole potrebbero volare anche sedie o qualcosa di piú pesante. Continuo a mordermi la lingua, chiudo le mani in pugni e lo fisso diritto per qualche secondo, mentre lui mi sorride beffardo. Poi ritorno al mio lavoro da cassiera.

Dopo poco arriva il primo cliente. Inizio a passare i prodotti, lancio svogliata una busta biodegradabile e guardo lo schermo della cassa per il conto finale.
- Ventisette euro e quaranta centesimi. - dico meccanicamente.
- Mi dispiace per ieri, i ragazzi che hanno fatto casino con la videocamera, ma é il nostro lavoro... - mi dice mentre mi dà i soldi.
Preparo il resto e poi lo guardo. Anonimo. Capelli crespi, occhiali enormi e una maglia nera con un disegno strano.
Lo guardo meglio. E ricordo. Era quello col cappello, il piú normale tra tutti. Gli regalo un sorriso fintissimo.
- Già dimenticato. - e gli do il resto.
Lui si guarda attorno e dopo parla piú a bassa voce.
- Se fossi in te denuncerei, quello di prima é mobbing e non dovresti subire, ma reagire. - e mi guarda fisso mentre prende la busta della spesa.
Lo guardo anche io, seria. Poi guardo oltre la sua spalla, dove il mio datore di lavoro sta parlando animatamente al telefono.
- Grazie e arrivederci - gli dico, distogliendo lo sguardo.

***

Ho rimuginato sulle parole del ragazzo per tutto il giorno, quando sono andata in pausa pranzo, quando passavo i prodotti, quando davo lo scontrino, quando abbiamo chiuso il supermercato, quando ho preso l'autobus e anche ora, che sono tornata a casa.
Appena entro, il bordeaux delle pareti mi inonda la visuale. Subito vedo il divano-letto col computer chiuso sopra, e di fronte la televisione spenta. Lancio la borsa su di esso e mi dirigo alla cucina adiacente al soggiorno. Essendo un monolocale le due stanze sono comunicanti tranne, ovviamente, il bagno. Subito metto a bollire l'acqua per la pasta e apparecchio per uno il tavolo rettangolare in mezzo alla stanza. Poi mi fiondo sotto la doccia.
Se non fosse per i miei lunghi capelli neri, avrei concluso la doccia dieci minuti prima, ma la mia chioma non me lo permette. In pigiama e con i capelli liberi di asciugarsi metto in moto la lavatrice con la polo sporca. Mentre ceno ripenso alle parole del mio capo.
Che stronzo! Quando ero salita al nord non avrei mai pensato di trovare persone veramente razziste nei confronti dei meridionali, eppure. Se avessi già trovato un buon editore, avrei mandato a quel paese tutta l'Esselunga per poi sparire e diventare piú famosa di loro. Ma arriverà quel momento.
Lavo piatti e pentole e questa volta ripenso alle parole del ragazzo. Se da un lato pensavo di non trovare razzisti, dall'altro non avrei mai pensato di trovare qualcuno che ti dà questo tipo di consigli. Ero spiazzata, non sapevo cosa rispondere, ma forse perché non é nella mia natura non rispondere. Se mi fossi trovata in una diversa posizione, ne avrei dette di mille colori al mio capo. Non mi sarebbe importato delle conseguenze, avrei sbottato come al mio solito e avrei aspettato il colpo di grazia. Ma non posso andar oltre, non posso superare la linea di confine che separa una ragazza appena assunta dal capo, anche se le sue erano piú invettive verso il mio status di meridionale. Odio questo tipo di accuse.
Continuo a insaponare il piatto e nella mia mente riecheggia la voce bassa ma quasi titubante del ragazzo, il suo senso di giustizia, la sua voglia di rivalsa e il suo consiglio a una persona a lui totalmente sconosciuta.
Mi blocco. Lascio il piatto nel lavandino.
Un lampo fulmineo mi passa per la mente.
Giustizia.
Mi asciugo le mani e febbrilmente accendo il computer, attaccandolo alla presa di corrente. Aspetto che si accenda e clicco sul solito file 'RACCONTI'.
Ho un nuovo racconto, le idee scorrono nella mia mente come un film.
Al diavolo il racconto precedente, ne ho uno nuovo da scrivere.
Al diavolo la tabella che avevo previsto, devo cogliere questa occasione.
Inizio dal titolo, lo posiziono al centro e lo coloro di azzurro, e scrivo:

'Bilancia ~ Giustizia'

Il filo rosso della ValleWhere stories live. Discover now