Capitolo #15

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x POV LUNA x

Seduta sul divano con Frank accanto che sonnecchia, sono intenta a guardare dal computer il video di Nelson il polacco. Più che altro osservo con cura ogni frame in cui il mio viso rotondo esce sul grande schermo, notando ogni piccola imperfezione del viso e del trucco che mi salta all'occhio. Dopo ben cinque minuti buoni di stop e torna indietro per risentire la mia voce registrata, chiudo bruscamente il portatile e lo poggio sul tavolino basso davanti a me.
Avevi promesso, Luna..
Chiudo gli occhi e appoggio la testa allo schienale. Mi ero ripromessa, quasi un anno prima, di non focalizzarmi solo sui miei aspetti negativi, ma far leva e migliorare tutto ciò che di positivo avevo. Mi ero resa conto in poco tempo, però, quanto fosse difficile e quanto ci mettessi a razionalizzare ogni azione, comportamento, o aspetto del mio corpo. Il trasloco a Bologna e quindi la perdita di tutte le persone che avevo accanto, mi aveva fatta cadere ancora una volta in un baratro di incertezza e negazione. E poi, ciliegina sulla torta, piuttosto che accettare la mia debolezza, avevo costruito uno scudo davanti a me di freddo ghiaccio e indifferenza nei confronti di ogni essere umano oltre me. Sapevo perfettamente quanto tutto ciò mi facesse male, ma allo stesso tempo mi ripetevo di esser forte e che i cocci prima o poi si sarebbero incollati ancora.
Apro gli occhi e il mio sguardo va sulla locandina pittoresca sul tavolino. L'avevo presa senza neanche pensarci da qualcuno fuori l'università e recitava parole come "La miglior festa dell'UniBo" e l'avevo infilata nella borsa mentre qualcuno accanto a me bofonchiava un "è la migliore perché è la prima".
Lo svegliarsi improvviso di Frank mi ridesta da quella calma che era nata in pochi minuti e lo guardo alzare la testa nella direzione della porta. Qualche secondo più tardi il campanello trilla. Vado alla porta e Frank mi segue con calma, tolgo la sicura e apro, rimanendo interdetta per qualche secondo quando vedo la figura davanti a me.
Giosué Nadani mi guarda sorridente, la barba più lunga del solito, i capelli ricci legati in una coda, felpa grigia e giubbotto in pelle.
-Cosa vuoi ? - gli chiedo diretta.
-Buonasera Luna, come stai ? - mi chiede di rimando, vuole irritarmi.
-Buonasera Giosué, cosa vuoi? - gli richiedo subito.
-Non è buona educazione invitarmi dentro casa? - non ha neanche il tempo di parlare che lo prendo dalla felpa e lo strattono dentro casa, chiudo la porta con la sicura e poi mi volto nella sua direzione con le braccia incrociata e gli occhi sgranati.
-Ora sei dentro e ti ho dato la buonasera. COSA VUOI? - gli chiedo scandendo ogni singola parola come se fosse un sibilo.
-Pensavo di passare da te visto che sono salito da qualche giorno.. - dice col suo forte accento pugliese, mentre si gratta la nuca e osserva un po' in giro il monolocale.
-Mh, direi che hai avuto un'idea inutile, come al tuo solito. - gli dico fredda.
-Ascolta, ho bisogno del tuo aiut… - si avvicina velocemente a me e subito Frank si mette in mezzo a noi e inizia ad abbaiare contro Giosué. Lui lo guarda e sorride - Hai anche un cane? -
Io non gli rispondo, ma continuo a guardarlo male e aspetto che lui mi dia altre spiegazioni, ma la sua attenzione è concentrata su Frank, quindi decido di mandarlo via subito.
-Giosué, mi sembrava chiaro già dalla telefonata che non ti volessi né vedere né sentire. Per questo ti chiedo per favore di andare via e di non farti sentire, grazie- lui alza la testa e mi osserva.
-Ma qui sono solo, ho bisogno di qualche giorno per adattarmi e cercare casa e ci sei solo tu qui.. - mi dice velocemente, con quella faccia da cane bastonato che sa fare solo lui.
-Anche io ero sola quando sono salita eppure guardami ora! - gli dico allargando le braccia.
-Si certo, a fare la cassiera.. - bofonchia.
Lo guardo di traverso.
-Ma tu come fai a sapere queste cose? E a sapere dove abito? - gli chiedo avvicinandomi pericolosamente. Sono così vicina a lui che devo alzare la testa per poterlo guardare negli occhi.
-Me lo ha detto Cristina… Che lo ha saputo da Elia. Si sono fidanzati, suppongo che non te lo abbia detto - mi risponde velocemente e io inizio pian piano a collegare i puntini.
Mio fratello Elia e Giosué andavano a scuola assieme, giocavano a calcetto insieme e hanno fatto il test per entrare a medicina insieme. È stato così che io e lui ci siamo conosciuti e messi assieme e io ho iniziato ad uscire col gruppo di mio fratello. Ma da quando io e Giosué ci siamo lasciati, mio fratello ha tagliato i ponti con lui, e anche tutto il gruppo. Mi sembrava strano che Cristina glielo avesse detto così facilmente, ma soprattutto era vero che non sapevo di Elia e Cristina assieme. Ma non voglio dargli questa soddisfazione.
-Certo che me lo ha detto. Comunque, non puoi rimanere qua, non c'è spazio e non voglio che io te condividiamo lo stesso spazio vitale. - gli dico ancora più diretta di prima, sperando che capisse finalmente che non lo volevo lì.
-Perché continui ad essere così cattiva con me quando, alla fine dovrei essere io quello arrabbiato? - sfacciato e senza pudore, mi fa innervosire.
-Certo! Ero sempre io quella da controllare qualora succedesse qualcosa di male. Io ero quella a cui non andava mai bene niente e di cui tu non ti fidavi per nulla. E alla fine invece eri tu quello che doveva essere controllato. C'era qualcosa di sbagliato in me? Beh, potevi dirmelo e non tradurmi in pubblica piazza. Ho reagito con rabbia perché ti volevo bene ma ora onestamente non me ne frega un cazzo di te e di quello che pensi, voglio solo che tu esca dalla mia fottuta vita! - gli urlo, ancora, come ogni volta in cui ci parliamo. Lui mi guarda di sbieco, la mascella contratta.
-Si è visto come vuoi bene alla gente, tagliando i ponti con tutti e venendo qui con i soldi dei tuoi genitori! Sei sempre strata fredda e senza cuore ed è proprio per questo che ti ho tradito! Tutti ti allontanavano e non si fidavano di te e ora stanno meglio, soprattutto i tuoi genitori, ed Elia! - mi dice con una calma disarmante, che continua ad irritarmi.
-Non ti azzardare a darmi la colpa del tuo tradimento. Sei tu responsabile delle tue azioni e non io. E se veramente tutti stanno meglio senza di me, tu non saresti salito a chiedermi aiuto. Lo fai solo per un tornaconto personale, non per altro! Tu e tutti quelli che ho lasciato giù eravate marci dentro, con qualcosa di rotto, chiusi nella vostra mentalità e con i pregiudizi nei miei confronti. Siete sempre stati stronzi con me! - ho gli occhi che mi pizzicano, ma non voglio piangere e quindi trattengo il più possibile.
-Adesso sei tu che stai riversando la tua rabbia nei miei confronti, quando sai che ti sono stato accanto sempre! - ribadisce, avvicinandosi e prendendomi i polsi tra le mani, ma subito mi scosto.
-Tu sei stato fin troppo presente. Mi soffocavi, con la tua voglia di fare e mi soffochi ancora che vuoi star con me - mi scosto ancora perché lui cerca di abbracciarmi - vedi come fai? Vuoi sempre averla vinta, e io mi sono stufata di questa situazione. Giosué, basta.- mi svuoto di tutto quello che ho dentro, forse fin troppo, e lui lo comprende.
Per quanto tossica sia stata la nostra relazione, lui sapeva quando fermarsi perché avevo raggiunto il limite. Tutto il nostro vivere non aveva senso e lui lo sapeva, comprendeva come la sua presenza negli ultimi tempi fosse diventata deleteria per me stessa. Comprendeva che lui stava diventando ossessionato dal controllo, ma affermava lo stesso che non riusciva a tirare le briglie e fermarsi.
Lo vedo sedersi sul divano e alzo gli occhi al cielo, sperando che si asciughino facilmente, e capisco che tutto quell'urlare forse continua ad essere inutile. Che entrambi siamo rotti, siamo marci, siamo da aggiustare e che non è con le urla che i cocci si riparano.
-Vuoi un caffè? - gli chiedo alla fine. Lui annuisce, io inizio a preparare la macchinetta.
-Devi andarci e non sai a chi lasciare il cane? - mi chiede ad un certo punto. Lascio la macchinetta sul fuoco e mi volto. Giosué ha in mano il volantino della festa.
-No- gli rispondo secca.
-Perché? Ti piacevano le feste del liceo- constata, lasciando il volantino sul tavolino.
-Le cose cambiano. -
-Vai, penso io al cane. - mi dice, prendendo il computer e aprendolo.
Mi lancio nella sua direzione e afferrò il portatile, chiudendolo.
-Giosué, per favore…-
Lui abbassa la testa.
-Scusa io… -
-Lo so, eri abituato. Ma non va bene questa cosa. - forse… Forse dovrei dargli fiducia? La mente corre veloce, verso quello che voglio fare e quello che è giusto fare. Cosa farebbe Luna in questa situazione? E cosa dovrebbe fare Luna in questa situazione? Domande apparentemente facili, ma che in realtà sono troppo complesse. Prendo velocemente una decisione, forse non buona, ma la prendo.
La macchinetta fischia. Verso il caffè nelle tazze e lo appoggio sul tavolo in cucina. Giosué si siede di fronte a me.
-Senti, Luna, io so che ho sbagliato tante volte. So che dovrei andare da qualcuno, ma so anche che non ti farei mai del male fisico, o sbaglio? - mi chiede, sorseggiando piano il caffè.
Era vero. In due anni non aveva mai osato alzare un dito contro di me, nonostante la violenza psicologica sia forse peggio.
-Non ti posso ospitare qui, o almeno non per tanto. - gli dico e lui alza la testa, i suoi occhi si illuminano.
-Che significa? - mi chiede speranzoso.
-Ti lascio Frank e vado alla.. -
-Frank? - vedo un enorme punto interrogativo sul suo viso.
-Il cane. Io vado alla festa. Puoi dormire qui, il divano diventa letto. Entro cinque giorni devi trovare una stanza. Non devi toccare le mie cose e non devi frugare da nessuna parte. - gli ordino, prima che lui possa dire altro. Si alza, cerca di abbracciarmi ma mi scanso velocemente.
-Se ho fame ordino qualcosa, così non devo frugare neanche nel frigo- dice facendomi l'occhiolino.
Sorrido, per poi ricordarmi che quello è il mio ex fidanzato che mi ha tradito. Mi alzo e corro in bagno.

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⏰ Last updated: Mar 12, 2020 ⏰

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Il filo rosso della ValleWhere stories live. Discover now