Capitolo #2

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+ POV SAM +

Ore 23:00 di un giorno di metà settembre.
Arrivo a casa distrutta, chiudo la porta alle mie spalle e do due mandate, come mio solito; se anche le mie coinquiline non dovessero essere tornate tutte a casa, avranno sicuramente il loro mazzo di chiavi nella borsa, quindi non rischiano di rimanere chiuse fuori. Vado in camera, getto lo zaino a terra e prendo il portatile sotto il braccio. Nemmeno mi sfilo i vestiti: chi ha la forza di alzare le braccia? Esco dalla camera e rimango con un piede sospeso in aria mentre mi rendo conto di essermi scordata le cuffie. Faccio dietrofront, sconfitta, e rientro nella stanza senza nemmeno accendere la luce: lascio che i pali accesi per strada, proprio fuori dalla mia finestra, mi aiutino a non inciampare in qualsiasi cosa ci sia sul pavimento. Ripenso alle parti doloranti del mio corpo, quindi lascio il computer - Lo riprenderò prima di uscire, non me lo devo scordare - e mi sfilo le scarpe, cerco le infradito che ho comprato all'Esselunga sotto casa prima della fine della sessione estiva - quando faceva davvero troppo caldo per indossare ancora le ciabatte chiuse - e cerco tentoni le cuffie sulla scrivania. Le trovo sul filo del burrone, pronte a cadere a terra da poco più di un metro di altezza al primo colpo distratto dato alla mia superficie di studio, e già le immagino rovinare al suolo e spezzarsi malamente a causa dell'impatto con le mattonelle del pavimento. Le afferro e me le metto intorno al collo, il cavo jack che pende quasi fino a toccarmi i piedi, ed esco dalla stanza afferrando di nuovo il PC al volo.
La casa è buia, ma le porte aperte della cucina e della mia camera fanno entrare dall'esterno della luce artificiale, che aumenta e diminuisce ritmicamente al passaggio delle auto in strada. Entro in cucina, dove c'è un malmesso divano a due posti di fronte a una grande finestra dal telaio in legno. Sono mancata due mesi, ma qua dentro non è cambiato nulla dalla mia partenza e, una volta tornata, ho avuto come la sensazione di non essere mai andata via. Solamente la disposizione dei piatti e delle stoviglie nel lavello viene cambiata in continuazione, dalle due alle tre volte al giorno per ogni ragazza che vive in questa casa. È raro che qualcuna di noi mangi fuori, eppure è altrettanto raro ritrovarci a pranzare tutte insieme.
Mi accascio sul divano, stanca, e apro il computer dopo averlo poggiato sulle gambe accavallate. Lo accendo, e la luce blu di Windows m'illumina il viso in un modo talmente improvviso da accecarmi. Strizzo gli occhi mentre aspetto che si abituino al brusco cambio di luminosità, quando la scritta "Samantha" appare sullo schermo. Premo il tasto Invio per accedere.
Non ho password né niente di simile, perché non ho nulla da nascondere che sia vagamente imbarazzante o realmente importante, come foto compromettenti o un progetto geniale che qualcuno vorrebbe rubarmi.
Apro il browser di ricerca e inizio a saltare da un sito all'altro: social, wikipedia, giornali online, video stupidi per passare il tempo. Apro come ultimo YouTube, e subito mi salta all'occhio il titolo di un video che recitava, più o meno, così: "IL KEBAB PIÙ BUONO DI SEMPRE". Ci clicco sopra, incuriosita, e la prima cosa che mi appare è un ragazzo, occhiali grandi e un ciuffo di capelli ricci in fronte, che si filma mentre cammina per strada dando il buongiorno a persone invisibili davanti a lui e dicendo che, anche quella mattina, stava andando in biblioteca per studiare. Lo seguo per un po' prima di capire che no, non si parlerà di questo "super kebab" se non verso la fine del video. Sbuffo scocciata da questa nuova moda di mettere titoli accattivanti giusto per avere visualizzazioni, e vado avanti velocemente, fermandomi di tanto in tanto giusto per capire di cosa stia parlando. "Nels", è così che si chiama l'account sul quale sono finita. Capisco, grazie al mio ottavo senso acquisito durante le notti di maratona delle serie di Sherlock, che probabilmente chi mi sta davanti per parlarmi della sua entusiasmante giornata si chiamerà Nelson. Lo vedo mentre studia in biblioteca, parla, mostra la sua telecamera nuova, esce da casa, guida, va a una fiera con giostre e ruota panoramica, saluta gente e poi, finalmente, si mangia questo benedetto kebab. Lo mostra alla telecamera, lo sento parlare della sua bontà dal volume basso del PC, e poi lo addenta. A cena finita, il video continua ad andare avanti lo stesso, ma lo chiudo perché, onestamente, poco me ne importa della vita sociale di Nelson.
Poi lo sento anch'io: lo stimolo della fame che, prepotente, mi fa gorgogliare lo stomaco e ricordare che non ho ancora cenato nulla dopo aver servito gelati a mezza città.
23:35.
Guardo il vuoto e penso rapidamente: ho ancora la giacca, e forse una banconota da cinque euro nel portafogli. Se scendessi ora, probabilmente riuscirei a rientrare prima di mezzanotte. Il kebabbaro più vicino non dovrebbe distare molto in bici, quindi mi alzo, cellulare alla mano e computer abbandonato malamente sul divano, e corro verso camera mia per afferrare la banconota nel mio portafoglio e infilarmela nella tasca dei jeans. Mentre poggio i piedi a terra, mi ricordo delle infradito. Mi devo mettere per forza le scarpe. Che palle. Come se non bastasse, il cellulare comincia a suonare. Non ho mai sperato così tanto di essere sola in casa, visto tutto il casino che sto facendo. Rispondo tra una maledizione e l'altra, e incastro il cellulare tra l'orecchio e la spalla mentre, con le mani libere, cerco di infilarmi un calzino al piede destro mantenendomi in equilibrio su una gamba sola.
"Pronto?!"
"Amore di maaammaaaa!"
Che palle!
"Mamma! Ciao, che vuoi?" le chiedo in fretta, cercando di non cadere a terra.
"Sei arrivata a casa?! Non mi hai più fatto sapere nulla!" mi fa lei, la voce preoccupata.
", mamma, non ti ho chiamata perché non potevo! Sono appena arrivata: dammi almeno il tempo di entrare in casa!" sporca bugiarda che non sei altro, Sam.
"Va be', hai mangiato?"
"Sì, mamma."
"E ora andrai a letto?"
"Penso di sì, sono abbastanza stanca. Mi stavo per infilare il pigiama". Non prima di essere scesa a comprarmi un kebab.
"Va bene, tesoro, allora ci sentiamo domani! Un bacione!"
"Va bene, mamma, buonanotte, cià-cià!"
Riattacco, lancio il cellulare sul letto e m'infilo l'altro calzino, seguito immediatamente dalla scarpa sinistra; quella destra ero riuscita a infilarla per miracolo tra un "sì" e un "mamma" detti al volo. Mi alzo in piedi e faccio qualche passo per poi piegarmi sul mio zaino, aprirlo, afferrare i cinque euro, infilarle in tasca e correre via dalla camera dopo aver lasciato tutto sparso qua e là. Chiudo la porta al volo e mi tasto all'altezza del bacino con entrambe le mani: le chiavi di casa sono ancora lì, non le ho mai toccate da quando sono rientrata. Le prendo e apro il portone per uscire sul pianerottolo del quarto piano del palazzo in cui abito. Dopo cinque minuti, eccomi pedalare verso il kebabbaro più vicino, quello al quale ci si rivolge quando si ha fame e nessuna voglia di cucinare o, peggio ancora, nessun cibo diverso dalla pasta nella dispensa.
Dopo qualche isolato fatto praticamente di corsa, ecco l'odore di carne e cipolla che mi arriva dritto al naso. C'è chi lo odia e c'è chi lo ama. A me fa venire ancora più fame.

00.08.
Rientro a casa e do di nuovo le solite due mandate. Ancora non sento nessuna voce, quindi le opzioni sono due: o dormono tutte, o sono ancora fuori a fare baldoria. Io sarei più per la seconda. Torno in cucina, esattamente nella posizione di prima, ma stavolta accendo la luce per scartare meglio il mio fantastico kebab. L'odore invade la cucina (che avevo preventivamente chiuso per non affumicare tutto l'appartamento), e il sapore mi riempie la bocca al primo morso. Non avevo mica capito di essere tanto affamata... O potrebbe anche solo essere una questione di ingordigia, non si sa mai.
Poggio la testa al divano e chiudo gli occhi, e subito mi torna in mente la faccia del kebabbaro che, col suo "Sciao bela" sorridente, mi chiede cosa voglia ordinare. Due ragazzi accanto a me chiacchierano animatamente, mentre un uomo beve birra seduto al suo tavolo circolare. Ricordo la risata sguaiata di uno dei due giovani, fisico palestrato e baffi neri tenuti quasi come un trofeo, al contrario della barba che sembrava non volergli crescere in modo regolare. Vedo anche l'altro ragazzo, quello più vicino a me, ridere di gusto prima di girarsi a prendere felice il suo kebab, la testa coperta da fitti ricci bruni e grandi occhiali dalla montatura sottile sul naso. Entrambi i ragazzi ringraziano ed escono con il solo kebab che Nels, forse sulla scia della stessa fame che provavo io, si era andato a comprare.
Apro gli occhi e resto a fissare il muro avanti a me. Era veramente Nels... o la mia mente mi aveva presa in giro? Un attimo confusa, continuo a masticare lentamente il mio kebab, cercando di capire se, effettivamente, il ragazzo che avevo incontrato era proprio lo stesso per colpa del quale ero uscita ad un orario improponibile per comprare del cibo spazzatura. Afferro il computer, me lo metto di nuovo sulle gambe e, tenendo una mano libera, digito su YouTube "il kebab più buono di sempre nels". Riguardo il video, stavolta prestandoci più attenzione, e mi soffermo sulle strade e sui luoghi ripresi che, a uno sguardo più attento, iniziano a essermi più familiari che mai. Quelle riprese erano state fatte a Bologna, e quel ragazzo è - senza ormai alcuna ombra di dubbio – bolognese, visto anche il forte accento tipico che tira fuori a ogni parola.
Continuando a guardare assorta le varie scene che si susseguono rapide sullo schermo, tiro un altro morso alla carne di dubbia provenienza avvolta dalla pita dolce e affogata da patatine e salse. Sorrido e chiudo il PC non appena nel video cala la sera. Non mi ero resa conto di quanto bene avessi imparato a conoscere quelle strade, anche se, a un primo distratto sguardo, non ero stata nemmeno capace di riconoscerle. Che controsenso.
Dopo aver finito la mia cena-spazzatura, chiudo tutto e mi rintano nella mia camera, trascinando con me le cuffie, il PC sotto a un braccio e una bottiglia d'acqua sotto l'altro. Mi chiudo a chiave per paura che qualche ladro o mostro possa decidere di venire rapirmi. Abbasso anche la tapparella, ma lascio la finestra aperta per far entrare almeno un filo d'aria. Metto un film al cellulare e inizio a guardarlo ma, data la stanchezza che mi porto addosso ormai da stamattina, finisco inevitabilmente col crollare a metà dell'avvincente storia di un uomo e della sua sfasciata famiglia senza nemmeno rendermene conto.

3:00 del mattino circa.
Ancora avvolta dal sonno, sento il portone aprirsi con difficoltà. Poco prima di andare nel panico più totale, pentendomi per non aver messo il chiavistello di sicurezza, sento dei tacchi e le risatine difficilmente soffocate delle mie due coinquiline ubriache marce che si sono appena ritirate da chissà quale serata.
Crollo un attimo dopo pensando che, almeno, stasera ero davvero da sola in casa.

Il filo rosso della ValleWo Geschichten leben. Entdecke jetzt