Capitolo #6

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+ POV SAM +

La pioggia mi ha trasformata in Samara scaricandomi tutto addosso con rabbia. Ormai sono due giorni che continua a piovere ininterrottamente, il che mi piace, ma non è il massimo quando hai come unico mezzo di locomozione una bicicletta e sei uscita di casa col sole, quella mattina, convinta che non avresti visto mezza goccia cadere.
Metto piede in casa con la testa bassa e i capelli che grondano acqua sul pavimento. Devo asciugarli prima di prendermi un accidente.

"Certo che la gente è assurda! Ceh, sapete che significa che questa si è buttata a menare uno?! Io non avrei saputo che fare, onestamente."

La voce di Federica mi arriva dalla cucina più acuta del solito. Che è successo? Entro nella stanza con lo sguardo interrogativo: Federica, mani congiunte come in preghiera, sta gesticolando mentre racconta qualcosa che l'ha sconvolta veramente molto, a detta dei suoi occhi sgranati. Naomi e Sandra mi guardano quando arrivo sulla soglia della porta: stanno ascoltando la storia di Fede, e hanno un'espressione amareggiata in volto.

"Che è successo?" chiedo, confusa. Vorrei sapere se Alessio c'entri qualcosa in tutto questo, ma preferisco evitare di aprire la discussione.

"Ieri sera sono uscita sul tardi e - alla ferma sotto casa, quella vicino all'Esselunga - ho visto una ragazza che si stava buttando a mazzate con dei ragazzi che la stavano insultando. Poi ne è arrivato un altro che l'ha fermata in tempo, ma non ho capito che ruolo avesse nella rissa."

Rimango immobile ad assorbire quello che mi è appena stato detto, e apro la bocca per parlare prima di rendermi conto di non aver niente da dire. Come si può commentare una cosa del genere?

"E cosa le stavano dicendo di così pesante da rischiare di prendere mazzate?" chiedo, l'unica cosa sensata che mi sia venuta in mente.

Federica guarda Sandra - sembravano quasi preoccupate, direi - prima di rispondere: "Non ho sentito tutta la discussione, ma l'hanno insultata perché era meridionale, da quel che ho capito...", la sua voce si affievolisce fino quasi a diventare un sussurro.

Ah.

Serro i denti e resto sempre lì, sempre senza sapere cosa rispondere.


Solo una volta, un anno prima, mi era capitato di ricevere insulti perché pugliese, e non l'avevo di certo presa bene. Ero tornata a casa in lacrime per aprire la valigia e cominciare a buttarci dentro alla rinfusa tutto ciò che avevo. Stavo già pensando al biglietto di sola andata che avrei fatto di lì a poco, quando Federica è entrata in camera. Mi aveva sentita sbraitare e bestemmiare con la voce rotta dal pianto: avevo solo una gran voglia di tornare a casa che, tuttavia, non riuscivo a esprimere a parole.

Inizialmente eravamo solo noi due e Sandra che, però, in quel frangente di disperazione era in facoltà.
Mi torna spesso in mente lo sguardo interrogativo e preoccupato di Fede: ci conoscevamo da scarsi due mesi e non avevamo legato nemmeno troppo, ma ricordo come, quella volta, mi buttai tra le sue braccia aperte senza pensare, e di come lei mi accolse senza chiedermi cosa stesse succedendo, ma comprendendo che avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi. Devo a lei il mio essere rimasta qui a Bologna senza mollare la presa, senza scappare via terrorizzata e demoralizzata. Lei veniva da Rimini, quindi avevo dato per scontato che non mi avrebbe compresa, eppure riusciva a capire cosa provassi e come mi sentissi.

Nulla di quanto successe quel giorno si è mai più ripetuto, né le battute di scherno né ciò che Federica fece.


"Che coglioni" dico stizzita, avviandomi verso camera mia.

"Non darci peso!" mi urla Federica dalla cucina.

Il filo rosso della ValleOnde histórias criam vida. Descubra agora