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Riportami indietro alla notte in cui ci siamo incontrati,
quando la notte era piena di paura
e i tuoi occhi erano colmi di lacrime,
quando non mi avevi ancora toccato.
Oh, riportami indietro alla notte in cui ci siamo incontrati

Ero certa che non si fossero ancora accorti della nostra assenza.

Sicuramente, Garreth non l'aveva temuto quando, di nascosto, era entrato nella mia stanza, svegliandomi con un leggero bacio a fior di labbra.

Faceva sempre così – era un gioco costante, per lui – e, anche quella sera, sapevo che non avrebbe lasciato insoddisfatta la mia curiosità.

"Sta tuonando," mi informò, in un sussurro, mentre mi accarezzava i capelli color rame, arricciandoli davanti alle sue labbra.

Sorrideva, e il motivo era piuttosto chiaro: sapeva che, giocandosi quella semplice novità, avrebbe ottenuto tutta la mia attenzione.

Amavo i temporali: il modo in cui, d'improvviso, il cielo prendeva a brillare, per poi sprofondare nell'oscurità, o il modo in cui ti possano far sentire grande, oppure così insignificante.

Garreth, però, lo amavo anche di più.

"Ci stiamo allontanando troppo," constatai, pensierosa, mentre, per l'ennesima volta, mi voltavo verso la fine del sentiero, cercando di intravedere la cima della muraglia di difesa della Città.

Se, cento anni prima, avessi guardato in quella stessa direzione, non avrei trovato altro che baracche di lamiera e alberi bruciati: resti di una guerra che mai avremo vinto, se non con l'aiuto di un miracolo.

Quello che poi è diventato veleno, dentro il mio sangue.

Garreth si voltò verso di me, facendomi dono di uno dei suoi sorrisi di zucchero. "Hai paura, Marie?"

Gli diedi un leggero schiaffo, divertita, prima di riprendere la sua mano. "Non amo così tanto i temporali da morirci. Sai che loro potrebbero essere ovunque."

Garreth continuò a sorridermi, scostando con delicatezza la fronda sottile di un albero per poter accarezzare il mio viso.

In quel momento, illuminato dai tuoni lontani, i suoi occhi cerulei parevano uno specchio della tempesta stessa: scuri, profondi, ma più vivi che mai.

"Fra un mese è il tuo compleanno," disse, sorprendendomi completamente: il non affrontare un discorso, non era certo un comportamento da lui, e questo mi fece pensare che, probabilmente, la nostra uscita clandestina non fosse altro che l'ennesima scusa per affrontare l'innafrontabile.

"Non ho intenzione di parlare del mio compleanno, Garreth, e sai che detesto che tu lo faccia: la sola idea di trovarti d'accordo con mio padre mi fa rabbrividire."

"Rabbrividire?" Il biondo tolse la mano dal mio viso, arretrando di un passo, quasi avesse preso la scossa. Dalla sua espressione, sicuramente sembrava così. "Marie, fra un mese compirai diciotto anni e noi potremo finalmente sposarci. È sei anni che aspettiamo questo momento."

"È da sei anni che tu e mio padre aspettate questo momento," lo corressi, aspra. "E continuo a non capire la vostra fretta, non capisco la tua fretta."

Così come non capivo la sua profonda necessita di sposarmi, o di volere avere al più presto un erede che avrebbe unito il mio sangue e il suo cognome.

Ma, forse, in realtà, le cose erano fin troppo chiare.

Sbuffai, scostandomi appena i capelli dalla fronte, così da poterlo guardare meglio in volto: sempre così rilassato, in quel momento sembrava appena riuscire a mantenere il controllo.

ECLIPSEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora