10.

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Le gente mi guardava come se fossi un demone caduto dal cielo per distruggerli.

Pensavo a questo, mentre, seduta sull'uscio della porta, continuavo a guardare il villaggio risplendere di vita, una che, con violenza, voleva tenermi fuori.

Per me, non era altro che l'ennesimo deja – vu: non ero mai stata popolare alla sette, se non per il cognome che portavo e per la mia discendenza.

Venivo considerata come una bambina un po' troppo cresciuta, fragile, incapace di sopravvivere lontana dal volere dei miei famigliari: probabilmente, pensavano che io fossi già morta.

Era strano, ritrovarmi a pensare a quelle cose, a quanto, per tutta la vita, mi fossi accontentata di una vita che non mi voleva, che mi sfruttava e mi maltrattava, pensando che questo fosse il massimo che potessi meritare: mi avevano educata bene, erano stati bravi a mentirmi.

Ma, nell'esatto momento in cui avevo visto il sangue di Garreth scorrere su quel nudo terreno, tutto mi era sembrato più chiaro, oltre che molto più sbagliato, ed ora sì, continuavo a vivere in un posto che non mi voleva, ma almeno avevo smesso di pensare che quella fosse l'unica normalità concessa.

Avevo smesso di pensare che fosse questo il mio destino o ciò che meritavo.

Valevo di più, e il mio nome non c'entrava nulla.

"Marie?" Alzai lo sguardo, notando Rebekah al mio fianco, sorridente. "Posso sedermi?"

Annuii, serena, e la osservai sedersi al mio fianco, stringendosi le gambe al petto, insolitamente serena: anche lei guardava il suo villaggio e, come me, non sembrava ritrovarsi.

"Levi non c'è?"

"E' andato a controllare i confini," spiegai, semplicemente. "Penso che tornerà presto."

Rebekah tirò un sorriso scaltro. "E' forse tristezza quella che sento? Ti manca Levi, Marie?"

"Cosa? No!"  Esclamai, sconvolta, ma, comunque, voltai lo sguardo, cercando di nascondere il rossore delle mie guance. "E' solo che non mi piace stare da sola."

"Io penso che, semplicemente, non ti piaccia stare senza di lui."

La guardai male, non riuscendo a crederci. "Parli troppo, Rebekah."

Lei scosse le spalle, incurante, tornando a guardare davanti a sé, sorridendo. "So che ti ha messo in mezzo per una sorta di piano suicida per liberare Kiran."

"Vorrei che cambiasse idea," ammisi, sinceramente. "Ma ho paura che sia tutto inutile."

Rebekah strinse le labbra, ricambiando il mio sguardo, seria. "Levi non avrebbe mai pensato ad una cosa simile se non la credesse fattibile. Lui si fida di te, per quanto tu non riesca a crederci."

Era vero, non ci credevo, ma, comunque, non riuscivo a spiegarmelo in altro modo.

Levi sembrava cambiato e io non riuscivo a capirne il motivo.

"Oh, guarda il tuo innamorato."

Rebekah rideva, ed io subito la colpii, cercando di farla zittire mentre Levi, con la solita calma, entrava nel villaggio e si dirigeva verso di noi.

"Non dirlo mai più," la minacciai, e la lupa alzò gli occhi, annoiata.

"Non dire cosa?"

Il lupo ci sorrise, incurvando la fronte e continuando a guardarci, confuso: era bello, stretto nel suo maglione verde come i suoi occhi e con i capelli scuri tutti arruffati.

Mi pentii subito di aver fatto quei pensieri.

"Io e Marie stavamo solo parlando di quanto fosse noiosa la vita senza di te, caro cognato," commentò la ragazza, con visibile tono ironico, riuscendo a far sorridere anche il lupo.

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