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Levi mi tenne stretta al petto fin quando non ci fu di nuovo un tetto sopra le nostre teste.

Lo ammetto, non ricordo molto di quei momenti, e, probabilmente, è meglio così, ma, quando la sua mano mi scosse i capelli dal viso, liberandomi dal mio nascondiglio, il calore della sua pelle si confuse con il mio, penetrandomi fin nelle ossa.

Lì rimase, e rimane ancora.

C'era un letto in quella stanza, e li mi lasciò, facendo attenzione a non posare per troppo tempo il suo sguardo sul mio corpo mentre mi copriva con la coperta pesante.

Sentii la morbidezza del plaid sfiorare il mio ventre tumefatto, e questo bastò per farmi raggelare il sangue e tremare.

Erano ancora lì, le sue mani, sopra il mio corpo: sentivo i suoi polpastrelli impressi a fuoco nella mia carne, cingermi le ossa.

Non esistevano solo nella mia mente, ne ero sicura: erano reali.

Levi si distrasse, avvicinandosi ad un piccolo camino interno, di cui ravvivò il fuoco facendo bruciare un paio di ramoscelli secchi.

Lo osservai sedersi a terra, sul bordo di un tappetto di pelliccia bianca, e stringere le braccia intorno alle sue ginocchia, quasi fosse insolitamente stanco, e continuò a guardare il fuoco, di cui riflesso si rispecchiava nelle sue iridi color menta.

Colpiti da quella luce, i suoi zigomi sembravano quasi tagliare l'ombra, mentre le sue labbra erano più rosse di quante ricordassi; i ricci non erano altro che un cespuglio nero che stava per andare in fiamme.

Solo allora balenò nella mia mente ciò che era più scontato: mi aveva portata nel suo piccolo rifugio, che non era altro che una semplice costruzione quadrata in legno e ricoperta da tappetti.

Sembrava esserci solo quella semplice camera, ma, scrutando con più attenzione, notai che, oltre la tastiera del letto, una porta sembrava dare su un'altra stanzetta laterale, forse un bagno.

L'arredamento, comunque, era pressoché esistente: fin troppo basilare, comprendeva un semplice letto a tripla piazza e un armadio.

Per qualche motivo, pensai che gli si addicesse.

Alla fine, sospirò, passandosi la punta del naso contro la manica rossa del maglione in flanella.

"Mi dispiace, per ciò che ti è successo," ammise, semplicemente, continuando a non guardarmi. "Vorrei che tu sapessi che non era nostra intenzione farti questo, non lo è mai stata."

Non risposi, semplicemente, ma lui sembrò capire, dato che si voltò verso di me, sempre tenendo la guancia appoggiata alla sua spalla, estremamente serio. "So che non sarà di aiuto, piccola umana, ma posso assicurarti che Christian pagherà per ciò che ha fatto."

Levi aveva ragione: non aiutava affatto.

Accarezzai un lembo del piumino, rigirandomelo fra le dita, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui, ancora in attesa di una mia risposta.

Non ne avevo, soprattutto non per lui, ma a Levi non parve importare.

"Dovresti provare a dormire, o fare qualsiasi altra cosa tu voglia," disse, rimettendosi in piedi ed avvicinandosi di qualche passo. "Ci sono dei vestiti, nell'armadio, e dietro quella porta il mio bagno privato: nessuno oserà disturbarti, nessuno oserà entrare."

Affondai il naso sotto le coperte, e, solo lì, mi accorsi che stavo piangendo già da tempo, e che le mie labbra erano ormai secche.

Mi passai una mano sul volto, cercando di nasconderle, ma, quasi per sbaglio, o magari per semplice foga, mi graffiai il viso, impregnandomi le unghie di sangue.

ECLIPSEDonde viven las historias. Descúbrelo ahora