La maledizione di Ugo

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Con mia immensa sfiga sin da quando mi svegliai, il giorno dopo, capii che la prima mattinata di lavoro sarebbe stata tremenda.

Il maledetto era giunto, con una settimana di anticipo.

Non me lo aspettavo, non era nei piani e l'ultima cosa che avrei voluto era proprio l'arrivo del mostro ignobile contro cui noi donne, una volta al mese, dovevamo lottare.

Ugo.

Ugo era il bastardo per eccellenza, l'essere più stronzo del pianeta, che distruggeva persino le vongole di coloro che, come me, avevano deciso di astenersi per sempre da qualunque forma di contatto col genere maschile. Anzi, era proprio per quell'assenza di legame se Ugo si presentava a noi come un'orologio fisso, a ricordarci che il valzer della fecondazione non era stato avviato e che, per questo, ora ne avremmo pagato le amare conseguenze.

La scelta di denominare così il ciclo era stata, senza ombra di dubbi, più che giusta. Solo un uomo avrebbe potuto farmi soffrire in quel modo, facendo conoscere il sapore della terza guerra mondiale alle mie ovaie desiderose di portatori di gene con cui dar vita alla versione umana di Ciccio Bello.

Bizzarramente, a decidere di chiamare in quel modo il processo fisiologico che andava a crearsi in noi donne durante l'ovulazione non ero stata io, bensì Megera. In pochi mi credevano quando lo affermavo, ma era la pura e semplice realtà dei fatti.

La leggenda narrava di una giovane Elsa - nata dalla tempesta della Sicilia, la prima del suo nome di Megera, regina del ghiaccio e della stronzaggine - perdutamente innamorata di un aitante e affascinante gentiluomo di Palermo. Lui, stando a ciò che mi raccontava sempre quando ero bambina, era meraviglioso, sexy e con la camicia più stirata del mondo, era per quest'ultimo dettaglio in particolare se Megera era partita di testa per quel portatore di cromosomi xy: aveva sempre avuto una particolare ossessione per gli uomini con le camicie ben stirate.

Lui era bello, affascinante, simpatico, modesto, persino ricco; se fosse rimasta al suo fianco, probabilmente adesso Megera avrebbe vissuto in un super attico e sarebbe stata la nuova vicina di Donald Trump, avrebbe scambiato con la First Lady qualche battuta sui poveri e avrebbe finto di non essersi mai scaccolata in tutta la sua vita, ma il destino aveva previsto altri piani per lei.

Quell'essere xy, di fatto, non era esattamente ciò che dichiarava alla nonna. Nel giro di pochi mesi, Megera aveva ben presto scoperto che era un uomo a cui piaceva saccheggiare il babbà di tutte le donne di Palermo, era un predatore di vongole, lui, un saggiatore di patate piuttosto conosciuto nel genere femminile palermitano.

Proprio per questo motivo, Megera non aveva avuto esitazioni a lasciarlo seduta stante, con uno dei suoi sguardi glaciali che avrebbe potuto persino far impallidire l'iceberg di Titanic.

Poco tempo più tardi, un bel giorno, era arrivato il ciclo e mia nonna, a quel punto, aveva mostrato i primi sintomi della follia che, in seguito io avrei ereditato. La sua mente deviata era riuscita a trovare un'analogia persino fra quel processo fisiologico umano e l'incapacità del suo uomo di tenere la sua Excalibur dentro la roccia dei pantaloni: entrambi andavano con qualunque essere umano che respirasse e disponesse dell'occhio di Sauron fra le gambe.

Quell'uomo si chiamava Ugo.

Il porco Ugo, così Megera lo aveva sempre chiamato nel corso della sua vita, prima di raggiungere l'altro dolore della menopausa, da lei denominata come "la battaglia finale per sconfiggere una volta e per sempre il bastardo".

Quel giorno, Ugo giunse nel più atroce dei modi. Lo sentivo scampanellare dentro la pancia, torturarmi come aveva fatto il film di Hachiko, al punto da indurmi a pianti isterici, improvvisi momenti di sconforto e desideri folli di farmi crescere un abete fra le gambe e diventare della stessa specie degli uomini che tanto detestavo.

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