Un tarallo per ghermirla e dal manzo spedirla

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Un tarallo per ghermirla e dal manzo spedirla


Ero nei guai.

Decisamente nei guai.

Temevo seriamente per la mia vita.

Non avevo visto nonna Elsa così incazzata da quando avevo fatto outing e le avevo confessato di preferire l'estathé alla pesca a quello al limone.

Avevo il sudore freddo a gocciolarmi lungo il volto, che mi sfiorava la mascella in una carezza più gelida di Cracco durante una puntata di Master chef. 

Me ne stavo seduta davanti al tavolo della cucina del nostro piccolo appartamento, con Dario ai miei piedi che sniffava l'odore del mio alluce, mentre Patrizia, seduta al mio fianco, controllava i pagamenti per una funzione funebre sul telefono. Ero piuttosto sicura che il motivo per cui avesse scritto sul motore di ricerca "Lenzuolo funebre con faccia di Alberto Angela stampata sopra" fossi proprio io.

Megera continuava a fare avanti e indietro per la cucina, inseguita dalla figure di Lampa e Ada che trotterellavano attorno le sue caviglie, probabilmente alla ricerca di una valanga di croccantini che lei non avrebbe mai dato loro, per mantenere il sano regime alimentare con cui voleva educarli.

In mano stringeva il mio ultimo Curses Note.

Ero nella merda.

Lo stringeva con una furia degna di un sayan, le vene sul collo che pulsavano freneticamente e le gonfiavano il viso fino a renderla una gigantesca pralina di acredine e rancore. Era dai tempi del finale di Infinity War che non mi sentivo mancare in questo modo. E certamente in quel parallelismo avrei potuto ritrovarmi particolarmente bene, soprattutto per la fine disgraziata che facevano tre quarti dei personaggi.

Arrivai persino a controllarmi le mani, per assicurarmi che non si stessero smaterializzando da sole. 

Avevo sempre saputo che, prima o poi, quel momento sarebbe giunto.

Il momento in cui nonna Elsa avrebbe scoperto del tutto la mia follia, arrivando a rimpiangere di non aver impedito a mia madre di procreare il giorno in cui mi aveva concepito.

Quindi era così, eh?

Era giunta la mia ora.

Lo leggevo nel suo sguardo, nel modo in cui respirava come Goku prima di sferrare la sua onda energetica, e quando incrociai i suoi occhi vidi in essi l'ultima puntata di Chi l'ha visto?

Era davvero arrivato il mio momento, non c'era nulla che potessi fare per impedire ciò.

Con la morte nel cuore, ingoiai la mia consapevolezza e decisi di accettare quella realtà dei fatti come un martire di guerra.

Non c'era nient'altro che potessi fare, d'altronde.

Be'... avevo avuto una bella vita, per quanto bizzarra.

Ero cresciuta sana, senza alcun problema di salute, a parte l'allergia primaverile che mi aveva inavvertitamente fatto starnutire addosso alla mia prof di matematica, quando avevo quattordici anni. Era stata a impedirmi di portarmi il fazzoletto, convinta che al suo interno vi avessi scritto dei suggerimenti per l'interrogazione alla lavagna.

L'incidente era avvenuto assolutamente per sbaglio, quando ormai eravamo giunti alla conclusione di quel supplizio e io le avevo mostrato la mia totale incapacità di ricordare le tabelline. 

A quel punto la professoressa, scherzosamente, mi aveva domandato cosa ne pensassi della matematica.

Quello starnuto era stata una risposta più che sufficiente.

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