Colpevole di ricotta di mucca

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«Mi faccia capire bene, lei stava dormendo, signorina?»

«Esattamente.»

«Sotto le coperte e il piumone.»

«Precisamente.»

«E mi vuol dire che quest'ape si è intrufolata nelle lenzuola, è risalita pian piano, è scivolata persino sotto l'orlo del pigiama e l'ha punta proprio lì. Proprio sul capezzolo.»

«È stata la punizione dell'Altissimo.»

La dottoressa dietro la scrivania sistemò gli occhiali da vista a mezzaluna che sporgevano dal suo naso aquilino e mi guardò perplessa. Forse perché, in quel momento, stava osservando un fenomeno scientifico che mai nessuno finora aveva riportato: la nascita di un terzo capezzolo.

Elsa, dietro di me, posò con preoccupazione le mani sulle mie spalle e guardò il medico che mi aveva visitata subito dopo che eravamo corse in pronto soccorso. Ancora adesso il viso di mia nonna era più gelato di un polaretto, l'ultima volta che mi era capitato di vederla così preoccupata era stato il giorno in cui avevano deciso di interrompere la saga fracassa-ovaie di Cento Vetrine.

«Mia nipote starà bene, dottoressa?» domandò, con quella voce in ansia da mamma chioccia che raramente mi capitava di udire. 

Era passato davvero molto tempo dall'ultima volta in cui si era preoccupata così in questo modo, negli ultimi anni non aveva fatto altro che imparare nuovi insulti con cui tentare di scollarmi dal letto, e quell'improvvisa forma di iperprotettività da parte sua mi induceva, in parte, a provare lo stesso disagio vissuto da Giorgia Meloni quando le avevano fatto presente che lei, pur essendo una fervente sostenitrice della famiglia tradizionale, di tradizionale ben poco possedeva nella propria.

Tutte le mie ansie, tuttavia, svanirono non appena mi ricordai che quello era sempre stato il modo di Megera di rapportarsi col mondo: il suo era un odio direttamente proporzionale all'amore. Più amava, più avrebbe rotto le ovaie.

In quel momento, però, ero particolarmente grata della sua presenza al mio fianco. Sarebbe stato tremendo dover rivolgermi da sola al pronto soccorso, non avrei mai avuto la stessa faccia tosta che invece Megera aveva posseduto, quando in sala d'attesa ci avevano chiesto quale fosse l'urgenza e lei, col volto di marmo, aveva risposto in tono austero: «Un'ape ha deflorato i capezzoli di mia nipote.»

Iniziavo a sospettare che la mia vita fosse ben peggiore di un libro harmony.

«No, signora, sua nipote non correrà alcun rischio.»

«Anche se l'ha punta proprio su quella zona sensibile?» domandò a quel punto mia nonna, le mani ancora arpionate alle mie spalle. «Non è che il veleno le impedirà di allattare, in futuro? E il terzo capezzolo? Quel terzo capezzolo rimarrà lì per sempre? E se le avesse sgonfiato il seno?»

Santo cielo, che razza di considerazione aveva la nonna delle mie amate palle da bowling? Non erano certo due palloncini che svanivano nel nulla come la mimica facciale di Jon Snow.

«No, signora, il seno di sua nipote rimarrà lo stesso. In un paio di ore vedrà che anche... il terzo capezzolo scomparirà» prima di dire quelle parola, tuttavia, notai subito il principio di una risatina sulle sue labbra. 

Fantastico, pure la dottoressa mi stava prendendo per il culo. Qualcuno poteva cortesemente aprire un buco dimensionale sotto i miei piedi, così che potessi ritrovarmi nel mondo dei Puffi e sperare di esser mangiata da Garganella?

«Non ci sarà alcuna conseguenza» ripeté di nuovo la dottoressa, guardandomi con occhi truci. «Ciò che mi confonde ancora adesso è capire come quell'ape sia riuscita a raggiungere un punto del genere.»

TEOREMA XYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora