Capitolo 17

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Non si aspettava che capissero così in fretta la realtà dei fatti, certo nessuno aveva in mano prove concrete a confutare le loro parole, ma era stupefacente vedere come le loro brillanti menti si erano messe in moto per giungere a una conclusione accettabile. Era stato un passo decisivo quello tra Eva e Adamo, così dovevano andare le cose e non c'era nulla che potessero fare per fermarlo... Ma avrebbero potuto modificare il corso degli eventi, ed era già successo. Come il modo in cui Eva aveva reagito al risveglio di quella notte, o al modo in cui Helel aveva attirato seguaci al suo fianco. Erano intelligenti, i suoi figli, calcolatori e passionali. Pensandoci avrebbe potuto lasciare le cose così com'erano, ma non sarebbe stato divertente se avesse fatto altrimenti. Esigeva quel prezzo, esigeva una guerra e uno spargimento di sangue, forse anche innocente. Lo desiderava. Lo bramava come si brama la pioggia dopo un periodo estenuante di siccità. Era necessario. Aveva spinto molti dei suoi figli ad unirsi alla crociata di Helel, alla sua corsa verso il potere, anche se il ragazzo credeva fosse tutto merito suo. Era imminente il tempo in cui le due fazioni si sarebbero scagliate l'una contro l'altra, una sola avrebbe vinto, l'altra sarebbe stata confinata in uno strato di polvere, zolfo e sofferenza come non se ne erano mai viste.
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I giorni passavano lentamente nell'empireo, ma lo stesso non si poteva dire dell'Eden. Dopo quel giorno, i due amanti si erano visti di nascosto, celati agli occhi di Adamo. Eva era ben consapevole che non avrebbe potuto abbandonare Adamo, e più si sforzava di stargli lontano, più sentiva una forza invisibile e estranea farla avvicinare a lui. Non poteva combattere, si sentiva prigioniera in un posto meraviglioso che, in altre circostanze, sarebbe potuta essere la sua casa. Più di tutto, però, la intimidivano I toni molto autoritari che suo padre usava quando doveva spiegarle cosa fare. Era sempre stata l'Angelo più remissivo e fedele, l'obbedienza era il suo scopo nella sua eterna vita, eppure in quelle circostanze sentirsi dire in quei modi le sue azioni future la infastidiva. In quel caso però la fanciulla non sarebbe potuta scappare e trovare un rifugio, poiché la voce di Dio le arrivava limpida come una cascata in ogni punto del giardino, nulla poteva contro la sua potenza. In più aveva il timore che suo padre potesse leggerle i sogni. Si, perché la giovane faceva sempre lo stesso sogno: due occhi glaciali che la scrutavano e una cascata di capelli rossi come sangue ad incorniciare un viso sconosciuto. Diceva le stesse parole ogni notte, ed ogni mattina Eva perdeva ore del suo tempo a cercare di capirne il significato. Ciò che la faceva soffrire di più era che spesso nella notte Adamo la prendeva e la faceva sua, e lei memore delle parole del Signore taceva i suoi singhiozzi mentre il ragazzo compiva il rito. Non lo accusava, sapeva quali erano i suoi bisogni e sapeva ancora meglio che era Dio stesso a volerlo.
Eppure da qualche giorno l'Angelo si sentiva diversa, era spesso stanca e affaticata, i suoi capelli erano cresciuti ancora di più, il bel colore scuro stava lasciando pian piano spazio a un bianco candido, gli occhi se possibile assomigliavano ancora di più a due ametiste magnetiche. Diventava sempre più umana, non avvertiva più il formicolio sulla schiena dove avrebbero dovuto esserci le sue splendide ali, non esercitava più il controllo del suo corpo. Più passava il tempo, più la sua aura Angelica svaniva.
Di grande aiuto le erano le Saphirie, le meravigliose creature a lei legate per la vita. Aveva avuto modo di conoscerle meglio, di passare il tempo con loro, di instaurare un rapporto che andava oltre persino ai legami con i suoi fratelli angeli, o almeno con la maggior parte di loro. Ne aveva parlato con Asmodeus e lo aveva portato con lei nel luogo in cui le dolci bestiole vivevano, le era scoppiato il cuore di gioia nel vederli andare d'accordo, un po' come con gli Elenwë, i guardiani del lago sotterraneo. Eppure nel profondo non si sentiva completa, non capiva come i suoi fratelli non fossero mai andati a trovarla, o perché Asmodeus non aveva mai riferito parole di conforto, non accettava l'idea che Raziel, Mikael o persino Helel si fossero dimenticati di lei. Era mai possibile? Era questo l'affetto fra Angeli di cui il Padre voleva che si saziassero? Non lo credeva possibile. Ma Eva non era a conoscenza dei tumulti che in quei tempi scombussolava il cielo, non era al corrente della guerra imminente, non sapeva che gli angeli si stavano tacitamente schierando. Probabilmente avrebbe scoperto tutto a fatto compiuto. Quando il cielo avrebbe pianto sangue e ali, allora l'inizio di una nuova era sarebbe giunto.
E tutto quello sarebbe successo solo per lei.
Perché lei, Helel e Asmodeus, inconsapevolmente, erano la chiave e la causa di tutto.

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Se qualcuno gli avesse dato un accenno di ciò che il futuro gli avrebbe riservato, Helel non gli avrebbe creduto. Mai avrebbe pensato che proprio lui, il favorito del creatore, si sarebbe rivoltato contro suo Padre. Ancora non realizzava che tutto quello era reale, che presto avrebbe creato un solco tra i suoi fratelli, tra tutto ciò che aveva sempre conosciuto e, a modo suo, amato. Ma non gli era bastato. Voleva di più, con le buone o le cattive lo avrebbe ottenuto.
Il Dio che tutti osannavano era in realtà un tiranno, ma nessuno a parte lui lo credeva possibile. Impedire a una discendenza perfetta di amarsi, lui il cui appellativo significava 'amore', ad Helel sembrava uno scherzo crudele. Meglio ancora, era la chiara dimostrazione del fatto che, benché fosse il loro creatore, in realtà non era molto interessato alla loro vita. Non che si potesse chiamare vita la loro, ma una mera esistenza fatta solo per eseguire ordini. Le cose sarebbero cambiate, il merito sarebbe stato solo suo. Spesso si era ritrovato a pensare a quella oscura profezia che Gahaliel, il custode della biblioteca celeste, gli aveva preannunciato tempo prima e, mettendola alla luce dei fatti, cominciava ad assumere un senso più che logico.
C'era anche un'altra cosa che gli ronzava in testa da un po', la confessione di Asmodeus riguardo al Libro Mastro. Gli aveva confessato, non senza tentennamenti, che il famoso Libro proibito era in realtà bianco, non aveva scritte né temi o poemi, ma che all'occorrenza aveva mostrato ad Asmodeus un'immagine alquanto bizzarra: un angelo che precipita a dal cielo, e una figura misteriosa al centro di uno spiazzo non ben definito, circondato da creature ignobili e mai viste prima. Helel aveva cercato di interpretare le due cose come fossero una, quasi sperando che riuscisse a capirne appieno il significato, ma non c'era stato verso, appena si avvicinava a un'idea ecco che questa gli sfuggiva dalle dita come limpida acqua, ritrovandosi così al punto di partenza. Una bruciante, incontrollabile rabbia si era impossessata di Helel, con un guizzo  improvviso della mano fece cadere il tavolo di marmo che capeggiava nella sua stanza, strappò le tende candide che coprivano le finestre, ridusse tutto a inutili briciole. Come poteva un libro bianco e vuoto essere proibito? Cosa c'era di così misterioso? Doveva vederlo con i suoi occhi e, magari, qualche strana e inspiegabile immagine sarebbe apparsa misteriosamente anche a lui.
Uscì dalla sua stanza, o ciò che ne era rimasto, e si diresse a passo deciso verso la biblioteca. Passando per i corridoi, affollati dal via vai degli Angeli, fece fatica a non rispondere a coloro che gli lanciavano sguardi carichi di disgusto o delusione, persino Mikael e Gabriel erano tra questi. Pensó che fossero degli sciocchi a difendere e seguire ancora il loro padre, che erano accecati dalle belle parole, ma che alla fine erano solo questo.. Parole. Con sguardo fiero e testa alta passava indisturbato tra i suoi fratelli e i loro mormorii, dirigendosi spedito verso la biblioteca. Non avrebbe permesso a nessuno di distoglierlo dal suo proposito.
Eppure, a volte, si era ritrovato a pensare erroneamente se ne fosse valsa la pena fare tutto questo se non avesse avuto almeno Asmodeus ad appoggiarlo, o almeno, a non intralciarlo; si era chiesto spesso se era giusto davvero iniziare una guerra per un qualcosa che, di base, loro non avevano mai avuto, ma la risposta era sempre la stessa: perché un essere inferiore doveva avere ciò che a loro era negato, per di più con una creatura potente come gli angeli? Questo era il punto, non tanto l'amore negato... Ma il permesso per Adamo di fare ciò che a loro era precluso con una della loro specie! Le parole di Dio gli erano tornate in mente più volte di quanto avrebbe voluto ammettere, ma non poteva farci nulla, Dio conosceva bene i suoi punti vivi, dove avrebbe potuto colpirlo e lui sarebbe esploso, beh almeno non aveva fatto tutto da solo.
Immerso nei suoi pensieri, Raggiunse la biblioteca celeste, luogo in cui lui e Asmodeus avevano passato molti dei loro giorni. Era bello tornare in quel posto, nido di gioie e soddisfazioni. Ma la biblioteca Era silenziosa, troppo anche, come l'ultima volta che vi era entrato. Non avvertiva, però, nessuna presenza strana, nessun alone di mistero aleggiava nell'atmosfera. Gahaliel era assente. Aveva le orecchie in allerta, le ali sbattevano pacate tenendolo sospeso di qualche centimetro dal pavimento marmoreo. Avanzava lento, in timoroso rispetto per quel luogo fonte di conoscenza e sapienza. Sapeva, senza guardare, dove era posizionato il Libo Mastro, e andava avanti spedito, senza spostare lo sguardo. Giunto al centro dell'enorme biblioteca, i suoi occhi si sgranarono di stupore nel vedere il leggío vuoto. Il Libro Mastro era stato spostato, ed era sua premura ora ritrovarlo, perché quel libro avrebbe fatto chiarezza su ciò che ai suoi occhi era ancora un mistero. Non sapeva però, che nell'oscurità delle corsie della biblioteca, due occhi curiosi scrutavano le sue azioni.

Mane Lumen Where stories live. Discover now