Capitolo 20

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Un lungo mese era trascorso dal giorno in cui Eva scoprì di essere incinta, il ventre si era gonfiato notevolmente e nuove venature nere erano apparse. Quelle erano le uniche cose che preoccupavano la ragazza. Neanche il parto la spaventava tanto, dato che il Padre era stato così premuroso da avvertirla su cosa sarebbe successo. Non lo aveva ascoltato molto, stava pian piano cambiando idea sul modo in cui considerava colui che le aveva dato la vita.
Il caos che si stava creando in cielo dava modo ad Eva di sperare. In fondo al suo cuore aveva sempre sospettato che le cose non andavano bene, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirlo apertamente. Non che servisse, Dio leggeva i cuore oltre che la mente. Spesso gli era saltato in mente che il motivo per il quale era stata scelta per assolvere questo gravoso compito era proprio collegato a quei suoi dubbi. Era sempre apparsa come l'Angelo perfetto, obbediente e sottomesso. Aveva creato un'immagine di sé stessa, in tutti quei secoli, che non voleva. Tante erano le cose che non voleva, ma per rispetto aveva sopportato senza fiatare. Era giunto il momento di ribellarsi? Non voleva pensarci, ora il punto focale della sua vita era il bambino che portava in grembo e del mutamento di Asmodeus.
Mutamento... Una parola che ormai la ragazza, più umana che Angelo a quel punto, aveva imparato a conoscere bene. Anche Asmodeus stava iniziando a risentire degli effetti del passare troppo tempo sulla Terra a causa sua... Stava diventando umano. Sapeva bene che probabilmente poco c'entrava lo stare troppo sul pianeta, bensì credeva fosse una punizione di Dio togliere ad Asmodeus il suo potere, il suo 'vero io'. Lo stava condannando a una vita vuota come era la sua. Non era in grado di accettarlo. Ogni volta che si vedevano Eva versava tutte le sue lacrime, accusandosi senza sosta di ciò che stava patendo il ragazzo. Di rimando, però, Asmodeus diceva che era il prezzo disposto a pagare per poter stare con lei. Le prometteva una vita insieme, seppur da fuggiaschi, le prometteva felicità, gioia e amore. Quelle parole erano una ferita e un balsamo per il cuore di Eva, che sapeva bene di aver poco tempo per decidere del suo futuro e di quello del suo bambino: se avesse dovuto lasciare la terra, sarebbe stata libera di portare con sé anche suo figlio? Asmodeus lo avrebbe amato come fosse suo, nonostante fosse in realtà figlio di un altro? Ulteriori domande affollavano la sua mente, oramai prossima a un crollo. Nel momento giusto avrebbe deciso, ma per ora doveva attendere.
Aveva messo un veto nel talamo coniugale contro Adamo, egli non avrebbe potuto toccarla ulteriormente fintanto che non avesse partorito. Tutto ciò, però, non faceva altro che aggravare ulteriormente la situazione di Adamo, entrato ormai in uno stato di astinenza. La situazione peggiorava quando, di notte, Eva faceva strani sogni, il più delle volte il protagonista era un vecchio volto amico, fulcro dei suoi sogni passati.
Ogni volta quella figura la chiamava, cercava di attirarla a sé ed Eva era attratta da lei. Tuttavia vi era sempre qualcosa che la riportava bruscamente alla realtà, e quel qualcosa purtroppo aveva spesso il nome di Adamo.
Eppure a ogni risveglio, Eva dimenticava cosa fosse successo nel sogno, memore di quei pensieri c'era solo l'immagine sfuggente di una creatura divina che non conosceva.
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Asmodeus e Helel avevano messo a punto ogni parte del piano per spodestare il padre. Una strana coltre di fumo nero e viola ammantava Helel ogni qual volta si parlava di dominio e potere. Asmodeus in cuor suo sapeva che tutto ciò era sbagliato, ma non avrebbe rinunciato a vivere l'eternità senza colei che l'aveva colmata, senza la sua dolce compagna. Se questo avesse significato perdere l'immortalità o i suoi poteri era disposto a sacrificare tutto.

Si trovava nella sua stanza quando Mikael, gemello di Helel, fece capolino dalla porta.
Era andato a trovarlo spesso per confortarlo. Ma quel giorno il conforto non era in programma.
-Nostro padre ci vuole nella sala del trono, deve parlarci. Sistemati, non c'è molto tempo.- Il cuore di Asmodeus perse un battito, aveva paura che l'Altissimo avesse scoperto i loro piani, così facendo ogni minima speranza di rivedere Eva sarebbero svanite. No, non poteva permettere di rovinare tutto, proprio ora che era così vicino a riaverla.
Asmodeus e Mikael aprirono le loro ali in sincronia, pronti a volare in direzione della sala del trono.
Passando per le ampie sale del palazzo notarono che nessun Angelo era presente. Per giorni un tumulto generale aveva riempito quei corridoi, tutti molto indaffarati e preoccupati per la loro sorte, dovuta alle azioni di Helel.
<Helel, dove sei...> pensò tra sé l'Angelo dagli occhi verdi, mentre il suo gemello, così simile ma altrettanto diverso, gli volava accanto. L'aura di Mikael era forte, virile, brillante... Ma nulla a che vedere con quella mistica e imbattibile del fratello.
L'eco del brusío nella sala arrivò ovattato alle orecchie dei due Angeli. Aprirono le porte, stupendosi nel trovare il Signore seduto rigidamente sul suo trono. Presero i loro posti e attesero.
-Bene, ora che siamo tutti presenti vi chiedo la massima attenzione e silenzio. Come sapete vi sono stati dei tumulti tra le vostre schiere, tumulti generati da uno solo di voi. La Mia Luce, il mio primo, ha osato mettere in discussione la mia autorità, il mio diritto a governare, portando dalla sua parte molti di voi. Ebbene, ciò mi rende assai deluso e furente. Non sono forse io ad avervi dato la vita? Ad avervi dato la vostra potenza, i vostri doni e l'immortalità? Non sareste nulla senza di me. Vi ho dato tutto, in cambio ho solo chiesto obbedienza, fede e lealtà. È troppo, per un padre, chiedere e ottenere questo dai suoi figli?- Non era rimasto nulla della calda e confortante voce del padre, i lineamenti erano contratti in uno sguardo freddo e penetrante, sondando il cuore e la mente di ognuno di loro. Lo sguardo di Dio si posò in quello di Asmodeus, l'Angelo sentí una fitta acuta forargli la testa, una stretta glaciale ghermirgli le viscere. Era tutto finito, non sarebbero rimasti impuniti.
Dagli spalti si alzò un nuovo chiacchiericcio, a cui Asmodeus non fece caso, troppo concentrato a sostenere lo sguardo del padre.
-Per millenni siamo stati i tuoi unici e fedeli servitori, abbiamo adempiuto il nostro dovere con diligenza. Ma nostro fratello dice il vero, ci hai vietato la possibilità di amare, di provare emozioni, tu che sei l'essenza stessa dell'amore. Siamo creature perfette, siamo guerrieri. Dacci la libertà di esternare ciò che sentiamo-. <Nathanael, Dio ti perdoni, anche tu...> il cuore di Asmodeus prese a battere furiosamente alla vista dell'Angelo che aveva parlato. Non sapeva quanti o chi si era votato alla ribellione di Helel, ma vedere il fratello così deciso, a testa alta, sfidare il Sovrano gli dava una rinnovata speranza. Uriel e Mikael si fecero avanti, fieri e belli nella luce della sala. Il primo parlò con voce alta affinché tutti potessero sentirlo.
-Padre, tu sei donatore di vita, sapienza e saggezza. Perdona chi ha smarrito la via, riconducilo nelle tue grazie. Non abbiamo il diritto di contestare il tuo operato!- Mikael guardava orgogliosamente il compagno per aver detto ciò che anch'egli pensava. -Uriel, sei saggio e potente, ma la disobbedienza por..-.
Un getto d'aria fece richiudere violentemente le porte della sala interrompendo ciò che Dio stava rispondendo, una figura si stagliava maestosa e cupa all'entrata. Le ali di Helel, un tempo solo bordate di porpora, si stavano completando. Era una vista unica, degna di ammirazione e potere.
-Salve Padre, da quando convochi un'assemblea e non vengo invitato? Così mi ferisci-. Il tono canzonatorio di Helel fece deformare  lo sguardo del sovrano, che ora aveva occhi solo per lui.
-Figlio ingrato... Non sei più il benvenuto qui. Vattene e salverò i tuoi fratelli dalla distruzione-. Il tono di voce basso e rabbioso fece accaponare la pelle ad Asmodeus. La coltre di fumo viola aveva di nuovo ammantato il corpo di Helel. Quest'ultimo, con una potente spinta delle ali si posizionó proprio di fronte al volto di Dio, a qualche metro di distanza, ben consapevole che, in uno scontro diretto, molto probabilmente non avrebbe avuto la meglio.
Helel gli sorrise, voleva farlo arrabbiare ancora di più.
-E dimmi, Padre, perché dici che sono ingrato? Non sono stato forse fedele ogni singolo giorno, secolo della mia immortale vita? Non ti ho servito a dovere, mentre tu eri nel tuo bel palazzo tra le nuvole a bearti nel dare ordini, fermo immobile senza muovere un dito? Oserei quasi dire che, con il tuo bel proposito di mandare una di noi sulla terra a essere sottomessa a un essere inferiore, sia stato proprio tu a dimostrare ingratitudine con noi-.
Il brusío tacque di colpo. Inaspettatamente la forma di Dio cambiò, al posto della candida tunica che indossava era apparsa una scintillante armatura dorata. Il simbolo di Alpha e Omega svettava maestoso sulla corona in capo. Una poderosa spada tempestata di gemme, Telum Dei Est, l'arma di Dio, pendeva pesante sul fianco. Nella mano destra La coscienza di Dio si innalzava in proporzioni mastodontiche, pulsando di luce propria.
Nessuno dei presenti aveva mai visto il Signore in vesti da guerriero. Tutta la figura era contornata da una soffusa luce dorata, rendendo così il Sovrano temibile oltre ogni dire. Helel si coprì gli occhi con il braccio, accecato da tanto potere.
Dio battè lo scettro con forza, creando così un'onda d'aria che fece sedere malamente ogni presente, mentre l'unico che lo fronteggiava si copriva il corpo con le ali. -TU DAI A ME DELL'INGRATO, FIGLIO DEL MALE! IO TI HO CREATO, IO ESIGO OBBEDIENZA DA TE, HAI UN DOVERE NEI MIEI RIGUARDI! INSOLENTE TRADITORE!-. Le urla avevano ovattato ogni rumore, tutto taceva.
Fu un attimo, una spada dalla lama nera apparve nelle mani di Helel, gli occhi divenuti oscuri. Con un colpo d'ali si trovò quasi faccia a faccia con il Padre, benché li differenziassero vari metri di altezza. Si guardarono, si sondarono. Si lessero.
Tutto nella sala divenne freddo, cupo.
Asmodeus, che aveva assistito a ogni particolare con minuziosa attenzione, tratteneva il respiro per paura di rompere quel silenzio fatto di odio.
Guardò il fratello e un suono gutturale proruppe dalla sua gola, le intenzioni oramai non avevano vie di scampo.
Sembrò che il tempo si fosse fermato, sembrava che nella pallida sala ci fossero solo loro due e Dio.
In quel momento ebbe paura per ciò che la Luce stava per fare, in cosa quella ribellione lo stava trasformando. Ripensó ai momenti felici che avevano passato lui, Helel e Eva, a quanto fossero uniti. Pensò alla sua amata, quanto sarebbe stata male nel sapere cosa era successo quel giorno. In cuor suo ringraziò Nathanael per averci provato, ringraziò Uriel per essere intervenuto a portar pace, Mikael per averlo confortato. Ma soprattutto ringraziava Helel e la speranza che gli aveva dato.

Il clangore di spade che cozzavano e il metallo che cadeva a terra lo svegliarono dai sui intimi pensieri, facendolo tornare bruscamente alla realtà. La scena non poteva essere più terribile. Mikael era intervenuto alla furia fiammeggiante di Helel, scagliatosi contro il Signore. Aveva estratto la spada unendola contro quella del fratello, salvandolo dalla distruzione.
Tuttavia era stato troppo lento. Il rumore metallico era stato l'ennesimo e forse ultimo gesto di Helel contro l'autorità divina: per terra la corona dell'Alpha e Omega giaceva divisa in due, la cui caduta aveva creato un solco sul pavimento marmoreo, un beffardo destino. Con un gesto della mano Dio allontanò Helel, mandandolo contro il portone d'entrata.
-Sei bandito dall'Empireo, Helel primo creato. Vagherai per le Sfere, le porte del paradiso rimarrano chiuse per te. Tempus Propinquum, Adservabant Graveris-.

Helel sussultó nel riconoscere le parole di Gahaliel, il ricordo delle condizioni in cui versava il custode della biblioteca gli colpirono l'anima, prima che una forza invisibile lo risucchiasse verso il nulla, urlando.

Mane Lumen Where stories live. Discover now