VII

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Aziraphale aveva sempre amato il gelato. Amava guardarlo mentre veniva trasportato dalla vaschetta metallica fino al cono, per poi trovarselo a pochi centimetri dal naso quando stava per azzannarlo e sentirne tutto il gusto congelato. Anche per quanto riguardava il gusto era abbastanza preciso: niente che avesse colori troppo intensi o colori troppo poco intensi, e la cialda del cono doveva essere rigorosamente al cioccolato sul bordo.

Guardava malinconico la sua palla di fior di latte, lasciando che tutti i rumori attorno a lui gli passassero sopra come acqua in un torrente. Sentiva ancora la guancia scottare ed il rumore del colpo secco echeggiare nell'aria attorno a lui, come un oascuro spettro che non voleva ma abbandonarlo. Gli occhi erano ancora umidi di lacrime, mentre avvicinava il gelato alla bocca.

-Vorresti gentilmente spiegarmi cos'è successo?- Crowley, davanti a lui, camminava avanti e indietro sul pavimento ghiaioso, spostano sassolini ad ogni movimento delle sue scarpe. La sua bocca era ancora raccolta in quello che sembrava l'inizio di un ringhio rabbioso, mentre nella sua lunga mano era stretto lo stecco del ghiacciolo alla fragola che all'evenienza leccava con una prepotenza inaudita. Anche quando mangiava sembrava dover scappare alla velocità della luce.

-Niente, niente- rispose vagamente il biondo, passandosi una mano sugli occhi in modo da scacciare le ultime parvenze di lacrime. Quando si toglieva il le dita dalle palpebre e se le sfregava tra di loro, poteva percepire quella sensazione di umido che tanto lo infastidiva. Era sempre stato educato all'idea che piangere equivaleva ad essere debole, i suoi genitori non apprezzavano molto quando piangeva in pubblico, con altri o semplicemente fuori casa. A dirla tutta, i suoi genitori non apprezzavano molto quando mostrava le sue emozioni. Però in quel momento i suoi vecchi non c'erano, quindi...

-Aziraphale, puoi dirmelo- Crowley si abbassò sulle ginocchia, arrivando al suo livello Si tolse gli occhiali da sole, per poi appoggiare la mano libera sul ginocchio dell'altro, il tutto con una tenerezza troppo bizzarra.

Aziraphale tentò invano di non guardarlo, allontanando il collo e pregando tutte le divinità possibili per non crollare. Non avrebbe dovuto mostrarsi così debole davanti a lui, ma oramai era tutto inutile anche solo pensare di riuscire a trattenere le lacrime. Sentì di nuovo quell'orribile sensazione di soffocamento, mentre deboli mugolii iniziavano ad uscirgli faticosamente dalla sua bocca. Qualcuno stava premendo sulla sua gola, lo stava letteralmente soffocando.Non riusciva a capire chi fosse questa persona, se fosse davvero lì oppure fosse soltanto uno scherzo della sua triste fantasia.

-Angioletto, non c'è bisogno di fare così- Crowley si ritrovò improvvisamente ad essere preoccupato, nel vedere l'altro sforzarsi così tanto per respirare. Si alzò di scatto, prendendo il cono mezzo squagliato dell'altro dalla sua mano e sedendosi affianco a lui. -Non c'è bisogno di fare così, andiamo- cercò in modo discutibile di aiutarlo, dandogli qualche pacca sulla schiena a mo' di incoraggiamento. Bisogna sapere un'altra cosa ancora su Crowley: se c'era una cosa che proprio non sapeva fare, oltre a concentrarsi su qualcosa per più di quattro minuti d'orologio, era aiutare emotivamente qualcuno. Lui era un ragazzo dal cuore d'oro, certamente, tuttavia quando qualcuno nel raggio di dieci chilometri stava piangendo, Crowley non sentiva l'obbligo morale di farlo smettere. O, nel caso di Aziraphale, farlo smettere secondo metodi tradizionali.

Ricordava una volta, quando avevano più o meno nove anni: erano andati a fare una gita sui monti scozzesi assieme alla scuola e Aziraphale, dato che non era tutta questa cima negli sport (come del resto anche Crowley) era riuscito ad inciampare sul terreno sassoso e impervio che portava ad uno dei tanti rifugi di montagna, sbucciandosi rovinosamente il ginocchio. Ricordava di averlo aspettato e di avergli raccontato, mentre piangeva, di quel suo cugino che abitava a Manchester che una volta aveva schiacciato per intero un pulcino che aveva avuto la sfortuna di capitare sotto la staccionata che lui stava saltando con leggiadra maestria di cui solo gli abitanti di Manchester potevano disporre.

La Mia Parte Intollerante|Good OmensWhere stories live. Discover now