XVIII

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Aziraphale in realtà si aspettava il silenzio. Quello che solitamente accompagnava gli interventi stupidi in classe, le parole dette a metà e tutto il resto. Quel silenzio imbarazzante che non doveva per forza essere fermato. Poteva anche restare lì tutto il tempo che voleva, prendersela comoda, in un certo senso. Sedersi, bere un caffè o prendere una cucchiaiata di purea e far restare tutto con il fiato sospeso. Al biondo il silenzio non dispiaceva nemmeno più di tanto, in realtà. Il silenzio lo aveva accompagnato per anni nella sua solitudine della sua stanza la notte, oppure quella della mattina appena sveglio quando ancora tutto il mondo era a dormire.

Però non c'era silenzio. C'era il rumore delle mascelle che masticavano, le posate che si posavano sui piatti e i sospiri dei suoi genitori.

-Non dire cose stupide, Aziraphale- la voce di sua madre era fredda, ghiacciata quasi, mentre si versava dell'acqua nel bicchiere.

Era una cosa che si sarebbe dovuto aspettare, in realtà. Non era la prima volta che sua madre rispondeva così. E non sarebbe stata di certo l'ultima.

-Tua madre ha ragione, non c'è motivo di dire così stupide- in aggiunta arrivò suo padre, accennando anche una breve risata mentre ingoiava un pezzo di carne. -A meno che tu non abbia usato del nuovo slang giovanile di cui io non ero a conoscenza, in quel  caso tu sai che io non sono un appassionato di slang e ti ho detto almeno un centinaio di volte di non usare parole di slang in mia presenza-

-Ma anche slang tecnicamente è una parola di slang-

-Non rispondere così a tuo padre, Zira. Non è beneducato da parte tua- sua madre, con lo stesso tono monotono, l'aveva ripreso senza nemmeno staccare gli occhi dal piatto.

Aziraphale si aspettava una resa dei conti più violenta, tipo un paio di urla sbigottite oppure una caterva di insulti, però aveva ottenuto solo...quello. Era un po' deluso, in un certo senso. Come nei libri, quando c'era la confessione e se il protagonista era fortunato finiva solo con qualche costola rotta.

Però nulla, solo i piatti che tintinnavano sotto le posate. Le mascelle che continuavano a mordere. Come se nulla fosse effettivamente successo.

A volte Aziraphale pensava di essere un fantasma, qualcosa che non si poteva né toccare né vedere né sentire. Lo pensava principalmente da piccolo, quando nessuno a parte quella persona lo notava arrivare a scuola o quando nessuno vedeva la sua manina grassoccia che si alzava per intervenire durante la lezione. Oppure in momenti come quelli, quando parlava e nessuno sembrava ascoltarlo.

-Com'è andata la giornata, tesoro?- la voce di sua madre si sentì dal silenzio imbarazzante che finalmente si era creato, cercando di spostare l'argomento della discussione su qualcosa di più famigliare a lei, che sicuramente non erano le pare del suo unico figlio.

-Tutto bene. Ho fatto gli ordini e mi sono messo in contatto con quello scrittore che volevi invitare per la fine della scuola. Un bravo ragazzo, farà sicuramente carriera- una cosa che il biondo trovava assolutamente stupida era sentire i suoi genitori parlare dei loro giorni e delle loro attività come se lavorassero a chilometri di distanza quando in realtà lavoravano letteralmente nella stessa casa: sua madre nella parte davanti, quella con l'effettiva libreria, e suo padre nel retro, nel suo microscopico ufficio. A volte si scambiavano pure i ruoli, ma suo padre era pessimo con i clienti.

Negli ultimi mesi ogni volta che i suoi genitori si facevano quella domanda così stupida, così monotona e così banalmente tenera lui si immaginava da grande, in una cucina piccola in un cottage immerso nel nulla a mangiare davanti al suo Crowley e chiedergli: "com'è andata la giornata, tesoro?" e sentire poi la risposta con interesse.

La Mia Parte Intollerante|Good OmensKde žijí příběhy. Začni objevovat