XV

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Aveva ricevuto la notizia nel mattino, quando la mamma era venuto a prenderlo dopo un giorno in cui lui era stato assente. Si era chiesto il perché di quel banco vuoto, però aveva additato la colpa ad un raffreddore  o una normalissima febbre.

Solo quello, come succedeva anche a lui.

Era salito in macchina, si era legato la cinghia e aveva osservato sua madre, i lineamenti contratti in una smorfia seria. Aveva visto quello sguardo poche volte, pochissime volte. E tutte erano situazioni spiacevoli.

-Cosa succede?- aveva chiesto, lo sguardo innocente e confuso, fino a rasentare lo spavento. Cosa stava succedendo? Era successo qualcosa? Era successo qualcosa di brutto? Avevaundici anni, non voleva notizie troppo brutte.

-Anthony si è rotto la gamba, me l'ha detto sua mamma poco fa- la voce di sua madre era stata fredda -ora è in ospedale-. Quelle semplici parole aveano avuto uno strani effetto su bambino. Qualcosa si era attivato. Qualcosa che inevitabilmente l'aveva portato a stare seduto su quella scomoda sedia d'ospedale, il sudore che scendeva attraverso i pantaloni e che lo stava facendo soffrire come un cane. Si sentiva friggere, mentre le dita iniziavano a stropicciare il disegno che teneva tra le mani quali a volerlo proteggere, un Santo Graal che aveva creato a scuola e che serviva a proteggerlo da qualsiasi cosa.

A proteggerli da qualsiasi cosa.

Sua madre parlottava fittamente con quella di Anthony vicino alla porta della stanza. Non era cambiata molto: i capelli raccolti in uno chignon scomposto le mettevano in risalto gli zigomi alti, mentre gli occhi arrossati dallo spavento erano concentrati sulla figura minuta dell'altra, le mani incrociate al petto e lo sguardo assorto.

-Azi! Vieni, se vuoi puoi entrare a salutarlo- l'aveva notato solo dopo qualche minuto, camminando verso di lui e notando la sua espressione preoccupata. Si era abbassata per guardarlo negli occhi, posandogli una mano sulla spalle  e facendo quel sorriso che sapeva di ricordi: non c'era niente da temere.

-Se non disturba...- Judith scattò preoccupata, l'ansia che creava rughe sul suo volto pallido.

-Ovvio che non disturba, mio figlio non la smetteva di chiedere alle infermiere di ricevere visite da te-. Il suo tono era tranquillo, ma si percepivano i rimasugli di ansia tra le parole.

Bastò quella singola frase per riempire il piccolo cuore del ragazzino d'orgoglio.

Entrò titubante nella stanza assieme alla donna, osservato con attenzione dall'infermiera di turno, per vedere uno spettacolo che non si sarebbe mai sognato di vedere: Anthony, quello spaccone, petulante e arrogante Anthony, era disteso sul letto, uno strano apparecchio che gli teneva la gamba pallida e tumefatta appesa a mezz'aria racchiusa nel suo involucro di gesso bianco. I capelli ramati erano incollati alla sua fronte pallida, mentre il suo pigiama di flanella lo proteggeva bene dal freddo che in qualche modo riusciva ad entrare anche nella stanza dalle pareti immacolate.

-Ciao- nonostante l'aspetto, il tono del bambino era gioioso, come se non fosse successo assolutamente niente e fossero non in un ospedale pediatrico, ma al parco.

-Non farlo mai più- Aziraphale invece era scattato subito sull'offesa, irrigidendo l'espressione di turno dirigendosi a passo spedito direttamente verso il letto. Era quasi irritato da quel sorriso così serafico, quell'espressione divertita che il rosso sfoggiava con impudenza. Lui si era preoccupato, era rimasto tutto il giorno da solo e non poteva tollerare tutta quella leggerezza. Non la poteva tollerare. -Ero preoccupato- aggiunse poi, sentendo la pressione delle dita della madre sulla sua schiena. Artigli.

-Che carino, eri preoccupato per me- il tono ironico pareva non essere piaciuto troppo all'altro, che come risposta gli fece una boccaccia accigliata, la lingua rosea che usciva timida dalle sue labbra e le sopracciglia inarcate verso il naso.

La Mia Parte Intollerante|Good OmensWhere stories live. Discover now