02. Gelo e Calore

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Eren stava male. Stava davvero male, ma quelle duecento pagine lo guardavano con insistenza e la voce del Presidente Smith ancora gli rimbombava nelle orecchie.

Era così stanco, così distrutto, mentre le sue mani lavoravano seguendo un moto automatico, che neanche alzò subito lo sguardo quando sentì la porta aprirsi, la mente troppo concentrata a comprendere il significato delle parole che leggeva per far caso a tutto il resto. Ma poi, gli ingranaggi scattarono, i loro occhi si incontrarono e le sue iridi si sgranarono in preda al puro terrore, quando respirò l'odore forte e violento diretto dall'Alpha verso di lui.

«Cristo» imprecò il ragazzo scattando in piedi, quasi perdendo l'equilibrio a causa della debolezza.

L'istinto di Levi fu quello di afferrarlo, sostenerlo affinché non si facesse male, proteggerlo. Invece si aggrappò alla porta come se da quel contatto ne valesse della sua vita e soprattutto della propria sanità mentale, perché nessuno avrebbe protetto lui se si fosse lasciato andare come l'Alpha gli urlava di fare. Eren Jaeger era un Omega, contro ogni sospetto e pronostico, ed era in calore; un calore che lo stava investendo con la potenza di un uragano che non si sentiva affatto pronto ad affrontare.

Digrignò i denti, tentando di non emettere versi rassicuranti bensì ringhi minacciosi. Non lo voleva vicino, non lo voleva addosso, non voleva perdersi.

«Porca puttana, Jaeger!»

«Che cosa cazzo ci fai nel mio ufficio?!»

«Che cosa cazzo ci fai tu, nel tuo ufficio?! In–... In queste–...»

Ad ogni parola pronunciata, quell'odore trovava nuova strada per insinuarsi in lui, attraverso il naso e la bocca, che sentiva riempirsi di saliva come di fronte ad una cena che si è aspettata per tutta la vita. Alzò la mano libera e la portò davanti al viso, nel disperato tentativo di conquistarsi un po' di protezione in più.

«Io stavo lavorando!»

La voce di Eren somigliava sempre di più ad un guaito, quasi impossibile da trattenere nella condizione pietosa in cui si trovava. Il suo corpo tremava, i capelli sulla fronte erano appiccicati alla pelle.

«Credi davvero di potermi rifilare una stronzata simile?!»

Eren ringhiò e Levi rispose, un suono ferale, che proveniva direttamente dalle loro gole, selvatico. Sotto la presa della propria mano, Levi sentì la maniglia della porta scricchiolare e si rese conto di averne il metallo conficcato nella carne con tanta forza da averla resa bianca e dolorante. Doveva andarsene da lì. Doveva pensare razionalmente.

«Resta qui e non azzardarti a fare un solo passo fuori da questo ufficio. Chiamo un'ambulanza e–»

«No! Non puoi farlo!» gridò Eren, girando attorno alla scrivania nonostante le gambe tremassero. «Non puoi chiamare qualcuno, tantomeno un'ambulanza! Se questa storia si sapesse, io–»

«Per caso non ci vedi, imbecille? Perché io ti vedo – e sento benissimo, e ti assicuro che sei nella merda!»

«Avvicina una mano al cellulare e giuro che prendo la prima enciclopedia dallo scaffale e te la sbatto in testa!»

Tanta forza e determinazione nella voce, nonostante l'evidente sofferenza fisica, fecero brillare una scintilla di ammirazione nell'Alpha. Aveva sempre saputo che Eren fosse testardo, ma non aveva mai avuto modo di capire fino a che punto. Ingoiò l'ennesimo ringhio che già vibrava in fondo alla propria gola, e si coprì gli occhi con indice e pollice: forse non vederlo per un po' avrebbe aiutato.

«Cosa vuoi fare, allora?»

Eren tacque, prendendosi un momento per pensare. Sapeva di non avere molto tempo, né molte opzioni. Il segreto che aveva custodito tanto a lungo era appena stato rivelato ed entro un giorno sarebbe diventato di dominio pubblico. La sua intera vita era stata rovinata, e non osava immaginare quali sarebbero state le conseguenze. In quel momento, tuttavia, sentiva la coscienza scivolare sempre più nell'ombra. Man mano che nel suo petto si faceva strada la rassegnazione per quella sua sconfitta, l'Omega acquisiva forza e guaiva, pregava, spingeva e ringhiava.

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now