19. Scelte ed Addii

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Gettò i propri abiti e le lenzuola in lavatrice. Il sangue era penetrato attraverso gli strati, arrivando ad impregnare il materasso stesso. Poco importava, l'avrebbe cambiato. Non poteva dormirci, non dopo ciò che era accaduto. Con la consapevolezza di cosa avrebbe potuto ricordargli.

Lavò sé stesso, preparò una borsa con cambi di abiti puliti, oggetti utili per la permanenza di entrambi in ospedale. Non avrebbe lasciato Eren da solo neanche un minuto. Doveva esserci, qualunque cosa fosse accaduta. Lo aveva giurato.

Si trovò di nuovo nella camera dell'Omega a tempo di record. Avesse usato il teletrasporto, sarebbe stato più lento. I pneumatici della sua auto avevano letteralmente divorato l'asfalto lungo il tragitto, mentre guidava veloce ma con prudenza. Non era il caso che aggiungessero un letto accanto quello del ragazzo.

Varcata la soglia, trovò il compagno ancora assopito, un vassoio di cibo sul comodino poco distante.

Levi andò a posare il borsone nell'armadietto, sedendosi poi sul bordo della scomoda branda dove Eren riposava. Aveva gli occhi gonfi, persino adesso che erano chiusi si notava quanto avesse pianto. Non era facile accettare cosa stesse accadendo. Quanto rischiassero di perdere.

Con le dita, titubante, gli spostò la frangia. Il pensiero di ciò che germogliava nel suo ventre lo spinse a scendere più in basso e sfiorarne un lembo di pelle scoperto.

Due piccoli semi che avrebbero potuto avere piedi paffuti, tenere mani e visi tondi da ammirare...

* * * * *

Ripulito l'organismo dalle tracce dei soppressori, il corpo di Eren tornò velocemente alla normalità. La carnagione riprese colore, i suoi occhi erano più brillanti e vivaci. Il cambiamento maggiore fu nell'appetito. Levi non l'aveva mai visto mangiare così tanto, in un anno di pranzi e cene condivisi. Le flebo, uniti ai pasti sostanziosi – ed agli spuntini di dolcetti e merendine che spesso il ragazzo si faceva portare dal proprio Alpha –, riportarono nel giro di due giorni un po' di carne sulle sue ossa.

Il giovane stava gustando una leccornia al cioccolato, il compagno che lo osservava colmo di gratitudine per quel recupero così veloce, quando la dottoressa Brzenska fece il suo ingresso in camera. Tra le mani reggeva la cartella clinica di Eren, voluminosa per le numerose analisi e cui era stato sottoposto.

Levi si irrigidì immediatamente. Lo sguardo della donna era mortalmente serio, al punto che iniziò a temere fosse portatrice di brutte notizie.

Eppure, Eren stava benissimo. Aveva letto, chiesto. Si era informato su quali sarebbero state le conseguenze ed i sintomi che si sarebbero manifestati nel caso in cui l'opzione peggiore fosse divenuta realtà. Per non farsi cogliere impreparato, per non lasciare che Eren leggesse nei suoi occhi confusione o sorpresa; essere forte per lui anche in quel momento in cui una parte del suo cuore sarebbe senz'altro andata perduta per sempre.

Forse era l'istinto a guidare quei sentimenti ma pur non avendoli mai visti, pur sapendo della loro esistenza solo da pochi giorni, era già come se li avesse conosciuti da sempre.

«Dottoressa» disse, alzandosi in piedi.

«Non si scomodi, signor Ackerman. Ho qui le analisi degli ultimi tre giorni e sono molto positive. Per quanto mi riguarda, siete liberi di tornare a casa oggi stesso.»

Eren, che in tutto il tempo non aveva smesso di mangiucchiare il suo dolcetto, quasi lo strinse tra le dita.

«Stanno bene?» chiese, portando un braccio a circondarsi lo stomaco.

«Una gravidanza, la prima, gemellare e dopo aver messo il fisico sotto sforzo? Sono stabili, ma delicati.»

Gli occhi di Levi non abbandonarono quelli della donna, mostrando serietà e compostezza quando avrebbe invece solo voluto cantare per la gioia di saperli vivi. Istintivamente, strinse la mano di Eren, adagiata sul letto.

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now