05. Insicurezza e Complicità

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«Ackerman! Era ora che riportassi il tuo culo quassù!»

«Che cazzo hai fatto per una settimana? E non dirmi che ti stavi sbattendo qualche cagnolina in calore, perché nessuno potrebbe sopportarti così a lungo!»

Eren sentì lo schiocco della matita che stringeva nella mano mentre si spezzava ed un attimo dopo l'acuto dolore di una scheggia di legno nella carne.

Levi era tornato, certo.

Non era una sorpresa per lui. L'Alpha aveva avuto l'accortezza di avvisarlo via mail, la sera precedente, e anche se non era certo del motivo l'aveva trovato in qualche modo utile. Sapere che Levi Ackerman avrebbe ricominciato a girare per l'ufficio prima di trovarselo davanti l'avrebbe aiutato a recitare la parte dell'indifferente al meglio delle proprie capacità.

Per questo, al suono di quel coro di voci, l'unica cosa che fece fu alzarsi per andare a socchiudere la porta, sfilandosi la scheggia dalla mano.

Da quel minuscolo spiraglio quasi infinitesimale, però, riuscì per un maledetto traditore istante a incrociare lo sguardo con quello dell'uomo che per tre giorni aveva stretto a sé, guardando la pupilla divorarne l'iride.

Alcuni dei segni dei morsi che gli aveva inflitto non erano ancora spariti dal suo corpo, ma Eren distolse lo sguardo e la porta si chiuse definitivamente.

Levi proseguì dritto verso il proprio ufficio. Non gli era sfuggito il modo in cui Eren lo aveva accuratamente evitato, e in tutta onestà non si aspettava certo che agisse diversamente.

Eppure il saperlo oltre quel pannello lucido gli strinse lo stomaco.

Dopo che il ragazzo se n'era andato, aveva provveduto a mettere in ordine la casa. Ogni cosa era tornata al proprio posto, come prima del suo arrivo improvviso. Poi, era toccato al nido.

Era stato un vero supplizio.

L'odore dell'Omega, sparito dal corpo di Eren, impregnava con ostinazione la stoffa di cuscini, trapunte e tutti gli indumenti gettati sul letto sfatto; il suo profumo, dolce e vagamente speziato, mischiato al proprio. L'Alpha non voleva disfarsene, ancorandosi cocciutamente al ricordo del tempo trascorso insieme, ma Levi si era costretto a gettare tutto in lavatrice. Si sentiva soffocare, imprigionato in una gabbia invisibile fatta di percezioni. Voleva tornare padrone di sé stesso e della propria vita.

Finalmente era tornato in ufficio, alla routine che tanto lo rassicurava, ma il verde brillante di quegli occhi sfuggenti erano una distrazione più di quanto avrebbe mai ammesso.

Si sedette alla propria scrivania, aprendo la valigetta ed estraendo i contratti da esaminare. Doveva concentrarsi sul lavoro e dimenticarsi di Eren.

Dimenticare... Facile a dirsi.

* * * * *

Per tre lunghissimi, quasi infiniti giorni il lavoro di entrambi si svolse nel più naturale dei modi.

Nessuno diede loro più attenzioni di quante non ne avessero ricevute fino a quel momento, nessuno li guardò o parlò di loro. I loro nomi non vennero neanche mai usati nella stessa frase.

Eppure l'animo del castano non riusciva a placarsi. Costantemente nervoso, sulle spine, si ritrovava a fissare il corridoio all'altro capo dell'ufficio che collegava i loro mondi, ora così drasticamente separati. Il cursore del mouse aveva sfiorato troppe volte il nome Ackerman, nella sua casella postale, aprendo una pagina bianca che tale era rimasta perché, arrivato al dunque, non gli era venuto in mente nulla da dirgli, a parte le ennesime raccomandazioni che avrebbero sicuramente scatenato la furia dell'Alpha corvino.

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now