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C'era quel ragazzo seduto lì al pianoforte al centro del grande atrio, un cappellino a coprirgli fin dove poteva i capelli e una sigaretta rigorosamente spenta a penzolargli dalle labbra fini.
Le palpebre costantemente abbassate e gli occhi nascosti e puntati sulle sue dita sembravano volerlo proteggere dal mondo o forse semplicemente da lui che lo stava guardando con insistenza da minuti interi senza pudore, e il modo in cui suonava inesperto quello strumento ma dando l'impressione di saperlo fare da una vita lo rendeva una creatura meravigliosamente attraente.

Harry non sapeva chi quel ragazzo fosse, ma era certo di una cosa: lo voleva.
Sentiva il desiderio crescergli nello stomaco ad ogni più impercettibile movimento di quel ragazzo, e più lo guardava più sentiva le mani formicolargli dalla brama di toccare quel viso dai lineamenti perfetti. E quella sigaretta, Dio, quella sigaretta intrappolata tra quelle due linee sottili senza alcun motivo lo mandava in visibilio. Avrebbe voluto strappargliela via e poi occupare il suo posto.

Harry si staccò dalla vetrata del negozio a cui si era appoggiato quando si era accorto della sua presenza.
Percorse lentamente lo spazio che lo divideva da quel punto luminoso grazie all'immenso lucernario che riempiva il soffitto alto e si fermò solo quando raggiunse il pianoforte. Lasciò che le sue dita tracciassero con delicatezza il piano lucido e sorrise tra sé e sé quando percepì il suono dei tasti interrompersi. Sapeva che così avrebbe attirato l'attenzione del pianista mancato, era bello e soprattutto astuto, conosceva le sue doti e sapeva come farsi guardare e volere, e proprio per questo, per quanto non vedesse l'ora di puntare lo sguardo nel viso dell'altro, preferì continuare a giocare. Con l'indice percorse il bordo dello strumento avanzando apparentemente svogliato mentre nel suo petto divampava il desiderio, e solo quando arrivò all'estremità lasciò cadere con delicatezza la mano lungo il fianco.
Con gli occhi già abbassati percorse visivamente il corpo ora estremamente vicino del ragazzo, concentrandosi sulle cosce toniche visibili anche al di sotto della tuta morbida e nera che portava, poi lentamente salì, leccandosi il labbro inferiore alla vista delle clavicole esposte e del collo che avrebbe voluto marchiare, fino a quando non si concesse di arrivare al viso.

Quello aveva già avuto modo di studiarlo anche da lontano e, davvero, temeva di non aver mai visto un volto così delicato e al contempo marcato, dolce e insieme forte, nei suoi ventiquattro anni di vita.
Ma. Ma c'era dell'altro.
Quello che lo lasciò completamente spiazzato fu qualcosa che non aveva messo in conto.
I suoi occhi. I suoi occhi ora rivolti a lui, grandi e luminosi. Blu fiordaliso chiaro o carta di zucchero.

«Oh. Sì. Scusa», si affrettò a dire il ragazzo togliendosi la sigaretta dalla bocca per incastrarla tra i capelli e il cappello dietro all'orecchio, «te lo lascio subito». La voce del pianista mancato ovattò tutti i rumori circostanti. Harry corrugò le sopracciglia, poi capì. Il ragazzo era già in piedi e pronto ad allontanarsi.
«Non voglio il pianoforte», lo fermò allacciando le dita attorno al suo polso.

«Ah no? Quindi cosa vuoi?» domandò l'altro socchiudendo gli occhi.

«Te».

*

Harry non aveva capito cosa fosse successo dopo quel piccolo scambio di parole e non aveva la più pallida idea di come fosse arrivato a chiudersi in quel cubicolo stretto nel bagno del centro commerciale assieme a quel ragazzo.
Sentiva le sue mani bruciargli ovunque, un fuoco divampargli dentro, mentre se ne stava piegato in avanti con i palmi delle mani appoggiati alla parete, i pantaloni abbassati assieme alle mutande e il ragazzo del piano dietro di lui, a spingersi dentro di lui.
Sapeva solo che era tanto, intenso, estatico al punto da mandargli in blackout il cervello.

Le mani arpionate un po' sui suoi fianchi, un po' a graffiargli lo stomaco sotto alla maglietta, un po' chiuse a pugno a tirare i suoi capelli; le spinte forti e sfrenate; il rumore delle carni a contatto; i respiri mal trattenuti direttamente nelle sue orecchie: tutto di quell'amplesso lo stava facendo bruciare come mai niente e nessuno era riuscito a farlo ardere prima.

«Dio», ansimò quando il ragazzo alle sue spalle spinse una mano sulla sua schiena per farlo abbassare ulteriormente così da avere una migliore angolazione, «sei... oh mio Dio».

«Sono?», domandò beffardo uscendo ed entrando velocemente dal suo corpo e impugnando finalmente il suo membro per pomparlo alla stessa velocità.

«Cazzo», piagnucolò in preda al piacere, «sei il miglior sesso della mia vita e non so nemmeno come ti chiami».

«Lieto di sentirtelo dire, tesoro», commentò ridacchiando e pizzicandogli una natica, «ed è davvero importante ora sapere come mi chiamo?».

Harry gemette. «No, cazzo, no. L'importante è che tu mi faccia venire il prima possibile perché, cazzo, non ho bisogno di altro in questo momento».

Come prendendo alla lettera le sue parole, il pianista mancato non parlò più ma nel giro di pochi minuti riuscì a portarlo al limite di ogni tipo di sensazione. Con una stoccata più dura, Harry si riversò nel suo pugno gemendo a bocca aperta e irrigidendo ogni muscolo. Al ragazzo dietro di lui bastarono pochi altri movimenti per riversarsi nel preservativo dentro al corpo del riccio. Si accasciò sulla sua schiena nascondendo i versi di appagamento scaturiti dall'orgasmo raggiunto, poi con una lentezza in netto contrasto con la ferocia con cui aveva condotto il loro amplesso si sfilò dalle carni del ragazzo davanti a lui. Prima ancora che il riccio potesse girarsi aveva buttato il preservativo e coperto il suo corpo. Solo allora Harry si rese conto di non aver visto niente di quel corpo. Lo aveva solo potuto sentire dentro di sé ma non vedere. E, caspita, non lo aveva nemmeno baciato, né morso, né leccato. Lo aveva a malapena toccato, poi si era fatto rigirare come un calzino senza battere ciglio. La consapevolezza lo raggiunse mentre, ancora con la parte inferiore del corpo scoperta, il ragazzo si accingeva ad aprire la porta per andarsene.

Gli sembrò improvvisamente di aver fallito in qualcosa. Non era da lui comportarsi così passivamente. Temeva che l'altro lo stesse giudicando al contrario di come Harry stava invece considerando lui: il sesso peggiore della sua vita.

«Aspetta», lo fermò, «vieni a casa mia».

«Scusa?», il ragazzo lo guardò scettico, alzando un po' la voce e rendendola lievemente stridula.

«Continuiamo da me».

«Anche no?», ridacchiò nervoso, incapace di guardarlo in volto, «per chi mi hai preso?».

Harry corrugò la fronte. «Per uno con cui fare dell'ottimo sesso senza impegno?», fece spallucce.

«Non sono quel genere di persona».

Harry si accigliò e arcuò un sopracciglio. «Sbaglio o sei proprio tu che hai appena scopato con uno sconosciuto nel bagno di un centro commerciale? Forse hai un'idea distorta di te stesso».

«È stato un caso, un'eccezione», si giustificò il ragazzo dagli occhi blu, «non so che mi è preso».

«Avevi semplicemente una voglia e l'hai appagata», finalmente si ricordò di sistemarsi i vestiti, «come ogni volta in cui fai sesso».

Il ragazzo del piano sgranò gli occhi e incrociò le braccia al petto. «C'è molto altro dietro, per me non è mai solo appagamento di un desiderio».

«Quasi», precisò Harry con un sorriso derisorio stampato sul viso.

«Prego?», sbuffò l'altro.

«Per te non è quasi mai solo appagamento di un desiderio, considerando che qui con me non c'era altro che desiderio da tacitare».

Il ragazzo di fronte a luì si mosse spazientito. «Non sono cose che ti riguardano», soffiò, «mi rallegra sapere che ti ho scopato così bene da essere qui a pregarmi di farlo di nuovo, ma non succederà».

«So che è piaciuto anche a te», osò pur non essendone certo come invece lo era di solito, «non nasconderti».

«Vuoi sentirti dire che non è piaciuto solo a te? Ok. È vero, è stato pazzesco anche per me. Ma finisce qui...».

«Mi chiamo Harry».

«Finisce qui Harry», concluse.

«Vedremo», mormorò proprio quest'ultimo, poi fece scattare la chiave e uscì per primo dal piccolo cubicolo odorante di piscio e sesso.

Ad Harry nessuno diceva di no.
Ad Harry nessuno resisteva.
E il ragazzo del piano, che lo volesse o meno, ne era una prova.

Glielo avrebbe dimostrato di nuovo.

Love Who You Are / Larry Where stories live. Discover now