SETTE

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[alla fine, volenti o nolenti, dentro abbiamo tutti qualcosa di marcio... e non parlo di cibo spazzatura]

Michael Moore era oggettivamente una bella persona. Era, oserei dire. Era, ma poi ha deciso di smettere, di scrostarsi di dosso l'immagine dell'affettuosa figura paterna che mio padre ed io amavamo.
Non c'era bisogno dei «ti amo» come conferma, tra lui e Manfred, perché si guardavano in modo così intimo e dolce che mi mettevano in imbarazzo. Eppure, ancora non dicevano nulla, e questo era quel che rendeva la loro relazione speciale, che rendeva noi una famiglia.

Spesso, ripensando al suo viso, mi sento nostalgico. Non l'ho mai conosciuta, mia madre, ma non oserei mai metterla allo stesso livello di quell'uomo: per quanto lui non ci sia stato quando lei non c'era, di lei non ho mai sentito un solo cattivo ricordo raccontato da papà. E ora tutti quelli che aleggiano attorno a Michael sono brutti ricordi, parole che preferirei dimenticare.

«Ricordi?...»

Sento gli occhi di Jeongin poggiarmisi addosso.

«Di che parli?»

«Di Michael...», un debole sorriso mi si stende sulle labbra quando la sua mano si irrigidisce attorno la mia, «a volte, mi manca. Ma solo a volte, eh... sai che somiglia molto a Minseok? I loro nomi iniziano con la emme... sai che altro inizia con quella lettera?»

Lui mi guarda incerto, piccole rughe si creano tra le sue folte sopracciglia ravvicinate sulla fronte. «Ma vaffanculo

«Anche...», ridacchio. Non sento di avere la forza di combattere con le mie palpebre che si abbassano, eppure non sono assonnato. Vorrei solo non dover più vedere la verità che mi è stata nascosta per mesi, ma non posso fare nulla per cancellare dalla mia mente gli occhi di Minseok mentre mi stringeva le mani attorno al collo. «Murderer...», sussurro, passando il pollice sulle nocche sporgenti della mano di mio cugino.

«Sapevo che Michael avesse fatto cose orribili, ma non credevo fosse una sorta di Ted Bundy».

Rido di nuovo. «Oh, lo era, lo era... chi pensi che abbia ucciso il cuore di papà?»
E rido così tanto che mi salgono le lacrime agli occhi. Con un piagnucolio, singhiozzo e premo distrutto la testa contro al cuscino. «Cazzo, ma anche mentre rido?»

«Sei un piagnucolone...», Jeongin mi stringe la mano e poggia la testa all'altezza del mio stomaco. Nasconde la sua voglia di piangere e il dolore che prova nel vedermi ridotto così, e si stringe a me spinto dai sensi di colpa che ancora invadono il suo petto da quando mi ha urlato addosso, ieri sera. Sembra scomodo, su quella sedia accanto al mio letto, ma qualcosa mi impedisce di dirgli che c'è spazio accanto a me.
Credo questa posizione piaccia ad entrambi. Come se fossi in ospedale per farmi riparare cuore e anima e non mi stessi ancora risvegliando dall'anestesia, dopo un lungo intervento in cui sarei potuto morire.

La mia mano tremante lascia presto la sua, posandosi sulla sua testa. Passo le dita tra i suoi capelli e singhiozzo ancora.

«E ora perché piangi?»

«Ti sto accarezzando la testa con la mano sudata... scusami...»

Lui solleva la testa per fissarmi. Riapro gli occhi. Gli chiedo di nuovo scusa con un sussurro, ma lui non fa altro che scuotere la testa. Ha l'aria di qualcuno che mi prenderebbe volentieri a schiaffi, eppure non lo biasimo, avendo il potere di riuscire a rendere triste chiunque in men che non si dica.
Il cielo di questa mattina è pallido e appena nuvoloso, mi ricorda il mio viso davanti allo specchio quando, di notte, mi risveglio e vedo Minseok accanto a me.

Sposto lentamente lo sguardo sulla porta non appena la vedo aprirsi con la coda dell'occhio. La figura di Jeongguk, visibilmente a disagio, mi fa sorridere. Non avrei mai pensato che mi avrebbe fatto piacere riuscire a palpare il dolore di qualcuno solamente rivolgendogli un'occhiata, e non sapevo mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno che mi ha spinto contro al muro di uno sgabuzzino polveroso.

il club dei cuori spezzati // ggukv | (in revisione)Where stories live. Discover now