Capitolo 3 | Il piano macabro

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Phil era riuscito a medicare Noah quel tanto che bastasse per renderlo presentabile, ma non aveva ovviamente potuto fare miracoli. Il viso del ragazzo appariva ancora un po' gonfio, ma meno sporco di com'era apparso qualche minuto prima. Phil aveva ripulito dai capelli i residui di fanghiglia, tolto il sangue secco schiacciato sulla pelle attorno al naso e ripulito tutto il resto. Restava, sul volto di Noah, un occhio nero vistoso e color melanzana che sembrava pulsare e avere vita propria. Phil si era raccomandato molto: Noah avrebbe dovuto usare ghiaccio per almeno tre giorni, tre volte al giorno per almeno un'ora e i miglioramenti sarebbero arrivati, ma per il dolore lancinante che provava ogni volta che una qualsiasi espressione gli si dipingeva sul volto poteva solo attendere. Il viaggio in macchina non fu nemmeno dei migliori. Phil possedeva un'auto che per Noah rappresentava una vettura principesca e che aveva visto molte volte sui cataloghi d'auto che suo padre distrattamente leggeva nei rari momenti liberi che si concedeva dal suo lavoro nell'alta finanza: una Maserati Gran Turismo bianca, scintillante come una pietra preziosa. Per quanto lussuosa l'auto del dottor Phil Burch era fredda e grigia nel tono e nell'umore. La vettura all'interno non recava segni di essere vissuta, era linda e intonsa come il volto di un neonato, con sedili in pelle così puliti che qualcuno avrebbe potuto usarli per mangiare e la stazione radio spenta. Erano di conseguenza avvolti in un silenzio che Phil giudicava normale e che dopo gli avvenimenti che lo avevano visto allontanarsi dalla moglie era diventata una sorta di guscio protettivo, ma che metteva terribilmente a disagio Noah, abituato quantomeno a sostenere un certo livello di conversazione. Noah, con le mani incrociate e le gambe che dondolavano dal sedile, rifletteva sulla sua giornata cercando una scusa ragionevole da dare ai propri genitori. L'ennesima, in realtà. In precedenti occasioni si era già presentato in stato pietoso e aveva inventato storielle diverse: dalla sua presenza nella squadra di football della scuola, fino a cadute accidentali dalle scale d'entrata che lo avevano visto collezionare una figuraccia dinanzi al corpo studentesco, ma all'epoca si era trattato di coprire tagli, ferite di poco conto, qualche livido. Con il volto come quello con cui stava per presentarsi a casa i suoi avrebbero sicuramente chiesto spiegazioni e aveva bisogno di una bugia di livello per non essere sottoposto ad un interrogatorio. I suoi genitori erano brave persone, ma le considerava un po' bigotte e non propriamente l'esempio di ciò che avrebbero dovuto rappresentare due figure genitoriali presenti in un contesto di quel tipo. Suo padre non era molto presente nella sua vita. Dirigente bancario di alto livello, era così importante da potersi permettere di recarsi in ufficio solo qualche volta a settimana. Il tempo, le operazioni di gran livello e contratti esclusivi stipulati anni prima con clienti di grande levatura gli avevano permesso non solo di scalare posizioni al vertice e di divenire uno degli uomini più potenti della banca cittadina di Cove Bay, ma anche una gestione personalizzata del tempo di lavoro. Se avesse voluto, suo padre William Powerick, avrebbe potuto lavorare un giorno a settimana e guadagnare quanto chi faceva gli straordinari, ma non riusciva a staccarsi da ciò che lo aveva reso importante. Era un drogato di lavoro, un maniacale gestore patrimoniale della banca e personalità di rilievo in ambito affaristico di tutti i principali investitori di Cove Bay e dintorni. E si rifugiava in un lavoro che gli dava soddisfazione evitando di entrare in conflitto in un matrimonio che ormai, da tempo, si era ridotto ad una pacata quanto poco passionale esistenza basata sulla rispettiva tolleranza umana con sua moglie Amy. William aveva conosciuto Amy durante un soggiorno in Svizzera in cui il padre di lui, un banchiere altrettanto importante, aveva coinvolto la propria famiglia in un viaggio d'affari sulle alpi innevate del paese. William, che all'epoca era solo uno studente di economia, era in Svizzera per uno scambio interculturale e il progetto di studio prevedeva la partecipazione studentesca ad un'importante riunione finanziaria che si sarebbe tenuta da lì a qualche giorno in sala congressi. Fu lì che William ed Amy si conobbero, per poi non perdersi mai. William, nel tempo, era rimasto coinvolto talmente tanto nel suo lavoro da trascurare tutto il resto e Amy era peggiorata sotto ogni punto di vista. Fin da giovane Amy era stata deviata dai suoi sotto il profilo fisico: sia suo padre che sua madre la rendevano ansiosa e agitata circa il suo stato fisico, impedendole di mangiare merendine, dolciumi o leccornie varie. Al contrario, la sua dieta era sempre stata ricca di fibre, acqua bevuta come fosse un cammello e legumi. «Con il passare degli anni» le ripeteva sua madre Veronique «le donne appassiscono fisicamente più dei maschi. Sono fortunati, eh? Se non inizi a preoccuparti ora del tuo aspetto fisico ti ritroverai a cinquant'anni con i rotolini di ciccia e la carne molle sotto le braccia!» le intimava quando Amy aveva solo quattordici anni, come se il lasciarsi andare un po' con il sopraggiungere del tempo fosse un reato costituzionale. La rigida alimentazione era accompagnata da un continuo e forsennato esercizio fisico: due ore al giorno, tutti i giorni, anche nei giorni festivi. Non era certo una sorpresa il fatto che, crescendo, Amy fosse divenuta una maniaca del fitness e dell'alimentazione che passava le proprie giornate senza il benché minimo bisogno di lavorare, ma trovando articoli nel web che riguardavano il perfezionamento fisico necessario per donne della sua età, guardando ore e ore di tutorial per esercizi su Youtube e recandosi in palestra almeno cinque volte alla settimana. Quando non poteva allontanarsi da casa per un motivo o per esigenze personali, allora infilava la tuta da ginnastica, un paio di scarpe da tennis e correva a perdifiato nel grande cortile di casa Powerick fino a sfinirsi. Aveva passato i cinquant'anni, ma aveva il corpo di una trentenne, anche se non era capace di intavolare una conversazione che fuoriuscisse dagli unici argomenti che conosceva davvero.

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