Capitolo 10 | La cattura

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La fuga di Margareth avrebbe portato delle conseguenze. Lo sapeva, mentre guidava la sua vecchia e fidata Chevrolet decappottabile e il vento le si insinuava fra i capelli umidi di sudore, lo comprendeva mentre le lacrime scivolavano via dal volto e si rincorrevano all'indietro tramutandosi quasi in piccoli cristalli fluttuanti nell'aria. In quel momento pensava a troppe cose: a ciò che era stata la sua vita, alle scelte sbagliate compiute, ai rimorsi del tempo. Al suo matrimonio trasformatosi in un nido di violenza, a suo marito che non aveva mai considerato realmente suo e che aveva visto sempre come una specie di nemico e non come un partner; alle sue amiche che per via di quelle scelte di vita le si erano allontanate annusando guai. Alla sua vita in polizia e alla sua voglia di spaccare il mondo. Pensava, pensava, pensava ancora, mentre l'auto si infilava in curve, viuzze rotte e scalcinate e i pneumatici non reggevano l'urto lasciando Margareth in balìa di sospensioni non adeguate per certi tipi di strade come i selciati boschivi in cui si era introdotta per seguire la pista che aveva compreso essere quella giusta. Prima di tornare a casa e poggiare gli appunti fra le sue cose, Margareth aveva scritto fra gli stessi dei piccoli pensieri a matita che sembravano ricondurre la scomparsa di Powerick e quella di Burch alla nota Villa Jushet. Un pensiero folle, istintivo, quasi geniale che le era balenato in mente e che pian piano che vi si stazionava sembrava sempre più logico. Forse non era lucida, ma non è forse vero che le grandi intuizioni sono sempre nate da attimi di distacco dalla razionalità? Nessuno ha mai detto a Leonardo Da Vinci di smetterla con i suoi progetti impossibili, eppure guardate cosa ha regalato al mondo intero! Anni e anni di genialità, invenzioni straordinarie sopra la media, opere d'arti meravigliose. Da Vinci dipingeva storia e arte e lei dipingeva intuizioni, ma il primo era un genio, mentre Margareth considerava sé stessa una folle irrazionale e testarda donna volenterosa di prevalere sui pregiudizi. Margareth sapeva di dover tornare in quella casa quantomeno per prendere le proprie cose, ma al tempo stesso il timore era così ampio che la paralizzava, anche mentalmente. Temeva di essere picchiata di nuovo, per l'ennesima volta, da quel bruto di Joe! Non lo sopportava! Se avesse potuto l'avrebbe messo a terra altre cento volte, quel pezzo di merda incapace di amare! Temeva per la propria carriera già ridotta ai minimi storici da pregiudizi stupidi sulle capacità femminili rispetto a quelle maschili, frutto di una generazione maschilista, cresciuta in modo antidiluviano. Temeva per la propria immagine di lavoratrice e di donna: il sindaco della città, padre di Joe, era un pessimo politico, ma un ottimo manipolatore. Se avesse voluto, avrebbe potuto far passare suo figlio per vittima e lei per carnefice. La stampa locale avrebbe addirittura dedicato una pagina intera sul giornale alla vicenda che aveva visti protagonisti lei e Joe: già vedeva i titoloni in grassetto sporcare la pagina e sollevarsi fino a formare un dito accusatorio puntato verso di lei. Joe ne sarebbe uscito pulito e lindo come un tizio in smoking bianco reduce da una discarica e lei avrebbe passato anni e anni a scollarsi di dosso l'etichetta di donna incontentabile ed umorale. Perché è così che vengono viste le donne che subiscono violenza da quelli che sembrano teneri agnellini e che poi in realtà dimostrano di essere, con i fatti, lupi famelici, predatori affamati, frustrati incapaci di regalare amore alla propria donna. Sono paranoiche. Le donne sono paranoiche. In fondo sono tutte uguali. Eh, forse suo marito ha tentato di farla ragionare e lei, presa dai propri ormoni, lo ha colpito mentre stavano selvaggiamente facendo l'amore. E quei lividi? Bah, se li sarà fatti da sola per incolpare quel povero uomo. In fondo non tutti sanno avere una relazione. Questi commenti e molti altri le pareva già di udirli in lontananza, mentre l'auto macinava chilometri, ingoiava l'asfalto e si dirigeva verso Villa Jushet, luogo nel quale era sicuro avrebbe trovato risposte alle sue innumerevoli domande sul caso relativo alla scomparsa di Noah Powerick. Margareth era intenzionata a fare all in: si sarebbe giocata tutto contro tutti, avrebbe messo in discussione la propria carriera disobbedendo agli ordini di un corpo di polizia prettamente maschilista e votato alla denigrazione femminile, poi avrebbe addirittura catturato il responsabile del rapimento e lo avrebbe consegnato nelle fauci dell'opinione pubblica, che l'avrebbero elogiata come eroina moderna. Chissà, avrebbe potuto anche ricavarci qualche soldo, da quell'avventura. Un po' di fama, di popolarità che le sarebbero servite per evadere da quella vita insipida che non si era scelta o a cui non riusciva ad adattarsi. Avrebbe preso il primo biglietto per il treno e avrebbe lasciato Cove Bay per lasciarsi alle spalle tutto l'odio e il rancore che suo marito le avrebbe gettato addosso una volta ripreso i sensi. Aveva sempre subìto in silenzio le violenze perpetrate da un matrimonio infelice e quella era stata l'unica volta nella sua intera vita che avvertiva di aver oltrepassato il limite. Alla violenza segue violenza, a meno che una delle due parti non sia molto più debole dell'altra. Margareth aveva smesso di essere un agnello e aveva cominciato a comportarsi come una leonessa ferita. E questo, cavoli, la faceva sentire viva.

Il Segreto di Villa JushetOù les histoires vivent. Découvrez maintenant