Capitolo 5 | Il massacro della villa

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Noah sgranò gli occhi e iniziò ad urlare a perdifiato. I finestrini dovevano essere insonorizzati e insensibili ai suoni dall'esterno. Phil era così sconvolto che non lo aveva nemmeno notato. Eppure il ragazzino si agitava alla sua sinistra muovendo freneticamente le mani, cercando di farsi notare in tutti i modi, urlando a pieni polmoni di non fare niente di cui Burch avrebbe potuto pentirsi. Noah iniziò a battere forte i pugni sul finestrino, ma anche in quel caso non riuscì a distogliere Phil dal fissare l'arma. Il dottore era ipnotizzato, aveva lo sguardo vacuo di chi ha compiuto una decisione sbagliata, il senso umano vuoto e disorganizzato di un essere fuori da ogni logica. Il ragazzino decise allora di ricorrere ad un sistema estremo che – ne era sicuro – gli avrebbe provocato un sacco di guai, ma che almeno sarebbe servito a risparmiare la vita di Phil. Lo avrebbe distolto dalle sue intenzioni suicide colpendo il finestrino con un sasso. Si guardò attorno facendosi luce con la torcia e notò solo terriccio umido. Calpestò il terriccio per qualche secondo cercando di farsi luce nel buio con la torcia del cellulare di Phil: essendo una zona boschiva avrebbe dovuto trovare qualcosa di utile a terra per aiutarlo a compiere la sua azione disperata. Mentre sperava di non udire il colpo esplodere dall'arma, continuava a cercare un sasso che non fosse troppo grande per essere sollevato e alla fine ne trovò uno a circa due metri di distanza. Appuntito all'estremità, era coperto di vegetazione, ma a Noah non importava. Si diresse verso il finestrino e lo disintegrò con un colpo solo provocando un enorme crash di vetri rotti e un sonoro spavento al dottor Burch, che fece cadere la pistola sul sedile del passeggero. Phil Burch fissò ad occhi sgranati Noah: il ragazzino era sconvolto, sudato in volto e con gli occhi allucinati. Sembrava avesse visto un fantasma. Nella mano destra aveva un sasso di dimensioni considerevoli con cui aveva fracassato il finestrino, in quella sinistra un cellulare. Lo riconobbe: era il suo.

Noah sorrise, un po' impacciato, come se non fosse accaduto nulla.

«Gliel'ho riportato» disse.

***

Qualche secondo dopo erano entrambi in auto, in silenzio. Dal lato del guidatore, quello di Phil, il finestrino rotto a colpi di pietra da Noah faceva filtrare un'aria briosa, frizzante, un vento che faceva rabbrividire Phil. Si accorse però che i brividi avvertiti non provenivano quanto dal clima pungente, tanto quanto dal clima dell'animo, che nel suo caso era gelido da almeno un anno. Un inverno interiore che sembrava voler durare per sempre e che l'aveva spinto a compiere un gesto impensabile: portarsi dietro una pistola e tentare il suicidio chiuso nella propria auto.

Non sapeva in che modo rivolgersi a Noah. Non sapeva se ringraziarlo o rimproverarlo per avergli impedito di compiere ciò che premeditava da tempo. Non sapeva se considerarlo un eroe o un impiccione. Phil Burch era un uomo confuso, un medico fallito e un depresso. Noah era un ragazzino con problemi evidenti, che veniva picchiato, ma in fondo buono e positivo. Gli aveva sorriso attraverso il vuoto, con il cellulare in mano. Come se non avesse fatto niente di speciale, quando in realtà gli aveva salvato la vita.

Noah fissava la pistola appoggiata sul cruscotto. Phil lo vedeva, con la coda dell'occhio, esaminare l'arma e osservarla con curiosità.

«La vuoi vedere?» gli chiese, in uno slancio.

Noah annuì.

Phil la prese, sfilò il caricatore per evitare che partisse un colpo non previsto e consegnò l'arma a Noah. Il ragazzino fece quasi fatica a sollevarla, tant'era pesante.

«Bella» sentenziò rigirandosela fra le mani e contemplandone il luccichio. «Ma forse è meglio non usarla per quello che voleva fare lei».

Phil sospirò e mise la testa sul volante.

«Quanti anni hai, Noah?».

«Quattordici».

«Ecco, allora non puoi sapere cosa frulla nella testa di un adulto».

Il Segreto di Villa JushetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora