Capitolo 12 | Richieste e minacce

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Lo stato dell'uomo fu la prima cosa che notarono e non avrebbero potuto fare altrimenti. Guardandolo da una certa distanza, con una illuminazione giusta, poteva avere fra i cinquanta e i sessant'anni. Non era un vecchio come la donna dai capelli argentei, ma non se la passava molto bene. Il suo volto era scarno come quello di un naufrago a digiuno da giorni, la barba color terriccio gli arrivava fino al torace e sembrava incastrata, arrovellata per via di una evidente non curanza. Quello che colpì maggiormente Phil, Noah e Margareth fu però lo sguardo dell'uomo misterioso: negli occhi del tizio non c'era stanchezza o sofferenza. C'era una irrazionale follia che avrebbe spaventato anche il più spaventoso dei cacciatori. A Noah venne subito in mente un vecchio documentario sugli aborigeni che aveva visto a casa, una volta. Nel documentario venivano mostrati uomini aborigeni ostili abitanti in enormi foreste pluviali che, per difendere ciò che avevano e proteggersi, iniziavano ad assumere comportamenti aggressivi, mirati allo spaventare il soggetto che consideravano nemico. Gli aborigeni ostili si munivano di pali di legno, coltelli e assumevano posture simili a quelle di predatori. Quell'uomo in cella non aveva nessun'arma con sé, ma era dotato di rabbia cieca. Non appena si accorse della presenza di tre sconosciuti lanciò un urlo dannato e si avvicinò alle sbarre della cella. Le colpì con tutta la forza che aveva in corpo e queste tremarono. Per un momento Phil temette che potesse uscire dalla gabbia e aggredirli: con quegli occhi li avrebbe fatti a pezzi. Il tizio continuava ad urlare come un lupo affamato, ma non diceva niente di sensato, voleva solo essere ascoltato come un animale selvatico, voleva attenzioni. Cercava di dire qualcosa.

«Questa è un'altra delle sue vittime?» domandò a muso duro Margareth.

Karenina la colpì alla testa con il calcio del fucile e la poliziotta precipitò a terra, faccia nella fanghiglia insinuata fra le mattonelle in pietra. Dolorante e rotolante, la donna dai capelli argentei la guardò elargendo un mezzo sorriso.

«Non giudicare chi non conosci» dissi. «Non è una vittima. Non lo sarete nemmeno voi, se Phil Burch ubbidirà alle mie disposizioni».

L'uomo, che fino a qualche secondo prima aveva urlato come un forsennato nel tentativo di comunicare, era ora crollato al suolo in preda a delle convulsioni. I suoi lamenti erano palesi, ma nessuna delle due donne – né Karenina, né la donna dai capelli argentei – sembrò farci caso e scomporsi più di tanto.

«Chi è quest'uomo?» domandò Phil. «E perché lo tiene chiuso in queste condizioni? Non vede che soffre?».

La donna dai capelli argentei sbuffò. «Dottor Burch, le spiegherò tutto a tempo debito, ma finché è in casa mia rispetta le mie regole. Lo tengo rinchiuso perché più volte ha tentato di scappare e per il suo bene non posso permetterglielo».

«Ha detto che ha bisogno di me, ma non la aiuterò finché non mi spiegherà di più su questa faccenda».

«Karenina, giustizia l'agente di polizia. Forse il dottor Burch ha bisogno di essere stimolato».

«Cosa? No!» urlò Phil. «Nessuno tocchi nessuno. La aiuterò. Ma deve anche farmi capire a fare cosa».

La donna dai capelli argentei fissò l'uomo rivolto a terra. Un velo di tristezza le si dipinse sul volto e lei lo ricacciò subito. Non poteva far trasparire emozioni.

«Da giorni si lamenta di dolori all'addome. Come vede non riesce nemmeno a rimanere in piedi e per farlo stare tranquillo lo abbiamo sedato. Tuttavia sospettiamo possa esserci un problema serio. Lo visiti e ci dica cos'ha».

«Lo visiterei, ma ha visto com'è aggressivo? E se mi attacca?».

«Questo non è un suo problema. Karenina, sai quello che devi fare».

Quest'ultima, con coraggio, entrò nella cella dell'uomo misterioso ed estrasse una puntura dalla tasca posteriore dei pantaloni. Conficcò l'ago sull'avambraccio dell'uomo, che in pochi secondi perse ancora i sensi.

Il Segreto di Villa JushetWhere stories live. Discover now