Capitolo 1.

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Quella mattina si infilò i pantaloni in fretta, prendendo il primo paio che trovò nell'armadio: dei semplici ma eleganti pantaloni blu notte.
Prese la sua adorata cintura in pelle e la indossò, tra uno sbadiglio e l'altro, mentre la sveglia suonava feroce sul comodino: si era alzato così di scatto che aveva scordato di spegnarla.

Mise una mano nei piccoli ricci e si avvicinò al comodino. Guardò il letto con occhi sognanti, desideroso di potercisi rituffare, ma si riscosse immediatamente, tornando davanti all'armadio e mettendosi una delle sue classiche camicie bianche.
Si specchiò, soddisfatto del risultato e, dopo essersi infilato le scarpe, dei mocassini blu, si diresse in bagno per sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti.

I suoi occhi verdi stavano guardando
stanchi il suo volto riflesso nello specchio, quando il suo telefono squillò.

Chiuse l'acqua del rubinetto e, dopo essersi dato un'ultima sistemata ai capelli, uscì dal bagno, diretto in camera, dove aveva lasciato il telefono.

Il nome "Tonno" illuminava la schermata.

"Tra dieci minuti sono sotto casa, non dirmi che sei in ritardo". Disse lui, rispondendo.

"Assolutamente no, sono già per strada con Piero, vedi di farti trovare pronto: oggi dobbiamo concludere le trattative"

"Scendo subito, tranquillo. Sai se Dario ha già prenotato per stasera invece?"
Chiese Cesare, mentre si preparava ad uscire di casa con largo anticipo rispetto quello che aveva pensato e programmato.

"Si, ha già prenotato. Vedo che con la testa sei già in vacanza" Rispose l'amico e collega, ridendo.

"Assolutamente. Scendo comunque, di a Piero di fare in fretta"

"Arriviamo"

E la chiamata si chiuse di scatto.

Diede giusto un'occhiata veloce al suo attico che dava su una Milano già in pieno movimento e poi chiuse di scatto la porta, pronto per quella nuova giornata di lavoro e ultima per almeno un mese.

Cesare Cantelli, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva, aveva davvero bisogno di una vacanza dal lavoro e da se stesso.

                                         *

"Eccovi finalmente, pensavo già che avrei dovuto dare via il tavolo" Disse Dario, alzandosi per andare incontro ai due amici.

Tonno gli diede una forte pacca sulla spalla, salutandolo calorosamente e sedendosi al loro tavolo riservato, alla Sky Terrace dell'Hotel Milano Scala, il loro posto preferito quando si trattava di aperitivi.

Cesare gli fece un sorriso, mentre Dario, rinomato tra loro per odiare il contatto fisico, alzava gli occhi al cielo, cercando di nascondere il fatto che comunque fosse divertito dal comportamento del loro amico biondo.

Si sedettero anche loro, e Cesare finalmente tirò un sospiro di sollievo: era finita, per quel mese, era finita.

Tirò fuori il suo pacchetto di Marlboro rosse e, mentre Tonno iniziava a raccontare come fosse andata l'ultima trattativa, si accese una sigaretta.

Sentiva a malapena l'amico che spiegava del loro contratto firmato con una azienda giapponese che gli chiedeva di progettare da zero la loro nuova sede centrale, sentiva a malapena Dario, contrariato di non esserci stato.

Eppure Cesare sapeva perché non poteva esserci.

Dario, il suo avvocato, aveva dovuto risolvere i casini di suoi padre, ancora una volta.
Ma non aveva voglia di pensarci.

"Quando lavorerai al progetto?" Chiese l'amico moro, guardandolo.

"Non mi hanno dato una scadenza vera e propria, inizierò a lavorarci in vacanza. Vorrei fare qualcosa di diverso, essere ispirato"

Un cameriere dalla faccia gentile li interruppe per prendere le ordinazioni, e Cesare
si perse ancora nei meandri della sua mente, lo sguardo fisso su Milano.

Sentiva gli amici intorno a lui parlare, ma non ascoltava davvero: aveva bisogno di silenzio.
Silenzio per tornare a disegnare come piaceva a lui, silenzio per tornare ad essere creativo come era agli inizi, silenzio per non pensare a come la sua vita fosse diventata un grandissimo caos.

Silenzio.
Solo silenzio.

"Comunque non ti ho cercato lavori nuovi, siamo in vacanza. Fino a Natale, concentrati solo su questo progetto per i Giapponesi."
Disse Tonno, toccandogli leggermente il braccio mentre sorseggiava il suo drink.

Guardò i due amici e un po' del peso che si sentiva sulle spalle volò via. Spense la sigaretta nel posacenere mentre immagini di loro tre da piccoli gli scorrevano davanti agli occhi. Sempre insieme, sempre uniti.

All'università avevano poi preso scelte diverse: Tonno aveva studiato economia, Dario giurisprudenza e lui architettura, come suo padre aveva già stabilito.

Per fortuna erano riusciti ad intedescare i loro lavori, così Dario era stato assunto come suo avvocato e Tonno come suo manager, grazie a suo padre. Sempre solo grazie a suo padre.

E lui questo lo amava e lo odiava allo stesso tempo, come ogni cosa che riguardava quell'uomo.

"Nelson ha detto che domani non riesce a venirci a prendere all'aeroporto" Disse Dario, cambiando discorso improvvisamente.

Cesare sorrise.

Nelson, il quarto del gruppo.
Lo avevano conosciuto al liceo e da lì non li aveva mai abbandonati. Inutile dire che aveva scelto architettura anche lui, come superfluo era aggiungere che suo padre aveva assunto anche lui in azienda.

"Quell'ingrato, poteva darci un passaggio, ci toccherà noleggiare un'auto" Disse finalmente lui.

Tonno sorrise divertito, appoggiando il drink sul tavolo e cercando di sistemarsi il colletto della camicia.

"Che vuoi che possa succedere? Saremo in un posto da favola, sarà sicuramente meglio di qui".

Su quello Cesare aveva dei grandi dubbi: cresciuto e vissuto nella "Milano che conta" non aveva una visione positiva dei trasporti del resto di Italia.

"Lo spero bene o il riccio ne pagherà le conseguenze" Disse scettico mentre giocherellava con l'oliva del suo Martini.

"Piantala di fare il solito burbero, ci divertiremo. E poi, staccare da questa città e da questa vita è quello che serve a tutti, soprattutto a te" Disse Dario.

Già, ne aveva proprio bisogno.

Si alzarono per pagare il conto, e, mentre andavano verso l'uscita, Cesare trattenne Dario, stringendogli il braccio destro.

"Devo preoccuparmi per mio padre?" Chiese, serio come poche volte lo aveva visto Dario nella vita, come tante negli ultimi anni.

"Ora devi rilassarti. Tuo padre non è un problema tuo e la situazione è sotto controllo"

Annuì, guardandosi i piedi, pronto a risalire sull'auto in cui Piero, il loro autista, li aspettava.

Purtroppo però suo padre sarebbe stato sempre un problema suo, ma forse, in quel momento, poteva non pensarci.

Ai confini del mondo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora