Capitolo 2

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INCONTRI FORTUITI

«Eccoti, Eve», Amira si alza e mi abbraccia calorosamente, «ho già ordinato anche per te, espresso, vero?»
 «Si, certo, grazie».
Ogni giovedì, io e Amira, abbiamo un appuntamento fisso al bar di fronte al Paradise, il ristorante in cui lavora, prima dell’inizio del suo turno. Per fortuna, sono riuscita ad uscire dalla casa editrice in tempo per raggiungerla.

«Allora? Come va lo stage? Oggi hai incontrato il sosia?»
«No, anche oggi nulla. Non lo vedo da quella mattina del caffè, ho passato gli ultimi tre giorni negli uffici dedicati all’analisi dei manoscritti. Lui non mette mai piede da quelle parti».

Amira fa una smorfia di disappunto.
«Non guardarmi così», le dico scuotendo la testa con un sorriso, «è talmente identico a Francisco che più rimane lontano da me, meglio è… è veramente bello» concludo con gli occhi che quasi sicuramente mi stanno già brillando.
«Eh già. Peccato che tu lo abbia incontrato sul lavoro, sono questi i ragazzi da incontrare nei bar, casualmente, accompagnati magari da un bel gruppo di amici interessanti...» ride Amira.
«Si, peccato solo che non capiti mai!» ribatto io.
«Domani c’è una serata molto carina all’Ikubak, vale la pena andarci e provare a smentirti!».




È venerdì pomeriggio, questo significa che mancano poco più di due ore per poter affermare, con assoluta certezza, di essere sopravvissuta alla prima settimana di stage, qui alla Chester Publishing.

Stamattina, al rientro al lavoro della ragazza titolare del cubicolo, dove ho passato i miei primi giorni, Big Chester mi ha assegnato un piccolo ufficio tutto per me, con tanto di maxi schermo del PC per la lettura dei manoscritti, divano di pelle e telefono personale, accanto al quale è presente una lista che indica gli interni di ciascun ufficio. La sola riga che ha rapito la mia attenzione è quella che recita: “Alexander Chester, interno 0043”. Una vera e propria tentazione che ignoro abilmente da ore.

Quando la contessa del manoscritto sta per cedere alle avances del perfido stratega, il telefono accanto a me inizia a squillare.
La chiamata proviene dall’interno 0043.
È uno scherzo? Perché chiama qui?

Alzo la cornetta in un impeto di coraggio, mentre il cuore aumenta il suo battito, al solo pensiero che sentirò di nuovo la sua voce.
«Pronto?»
«Mmmh, è chiaro che non sei Roger...» ridacchia il mio interlocutore con la sua voce suadente.
E ora chi è questo Roger?

«Eh no, sono Eveline, penso che lei abbia sbagliato…» rispondo, fingendo di non capire chi c’è dall’altra parte.
«No, l’interno è corretto. Penso, invece, che tu sia nell’ufficio di Roger, Eveline…»
«Ah…» sospiro, senza sapere cosa dire.
Chiudi presto, ti prego.

«Beh, buon lavoro Eveline…» ribatte lui, al termine di un silenzio piuttosto imbarazzante.
«Grazie, anche a lei», metto giù, e tiro un sospiro di sollievo.




Poco più tardi sono nel parcheggio, diretta verso l’uscita della casa editrice. Mi accendo una sigaretta e rispondo al telefono che squilla, è Amira.
«Eve, ho un mal di testa assurdo, la solita emicrania.»
«Mi dispiace…»

«Ho parlato con Dawson, andate senza di me all’Ikubak, passa a prenderti alle dieci e mezza.»
«All’Ikubak? Stasera? Cavolo, l’avevo dimenticato!» urlo presa alla sprovvista.

Sento il clacson di un’auto dietro di me e mi sposto per lasciarla passare senza prestarci attenzione.
«Ok, bene, ci andrò. Ci sentiamo domani, rimettiti.»
«Spero passi presto, a domani» mi saluta e metto giù.

Bitter LoveWhere stories live. Discover now