Capitolo 5

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VIAGGIO NEL TEMPO

La mia mattinata è volata nel settore “Graphic designer”, la sezione della Chester Publishing dedicata alla creazione e all’elaborazione delle copertine dei libri che dovranno essere pubblicati e a tutto ciò che ha a che fare con la promozione e la pubblicità.

A farmi compagnia e a mostrarmi i passaggi base di creazione di una copertina ci ha pensato un ragazzo bizzarro, con mille riccioli biondi e degli occhiali dalla montatura spessa, nera, di forma circolare. Il suo nome è Joshua Timberlain, è un grafico pubblicitario.

Durante la pausa pranzo – abbiamo mangiato un tramezzino al volo nell’atrio all’aperto della casa editrice, attiguo alla sala ristoro – mi ha rivelato di essere un vecchio compagno di studi di Alex.
Hanno frequentato insieme il corso di grafica-pubblicitaria, dopo il diploma.

Dalle poche parole spese su di lui, ho immediatamente compreso che Joshua non deve nutrire proprio una gran stima nei suoi confronti ma, in qualità di dipendente, ha evitato di spingersi troppo oltre con i commenti. “Se la cavava con le copertine, sì… e ha ideato qualche campagna pubblicitaria interessante, prima di venire a lavorare qui, ma la sua vera fortuna è essere il fratello di William”, così ha liquidato la faccenda.

Anche oggi, di Alex Chester non si è vista neanche l’ombra e non mi è arrivato alcun suo messaggio.
Inizio a pensare davvero che Amira e Dawson avessero ragione ad essere perplessi riguardo le sue intenzioni: voleva solo portarmi a letto, ha capito che non sono una facile e ha lasciato perdere. Del resto, dopo di me, arriverà qualche altra giovane stagista.

Mentre pensieri apocalittici di questo tipo continuano a ronzarmi in mente come mosche fastidiose, gioco nervosamente con il mouse, aspettando la fine dell’orario di lavoro per tornare a casa.
Fuori è già buio e il mio ufficio è illuminato solo dalla luce calda della lampada da scrivania.

D’improvviso sento gli occhi di qualcuno su di me. Alzo lo sguardo e il mio cuore manca un battito.
«Miss Valentine… Buonasera, ancora al lavoro?».

È lui, nella penombra, appoggiato con un braccio allo stipite della porta del mio ufficio. Indossa un maglioncino di cashmere blu, con su una giacca dello stesso colore e dei jeans chiari. Si ravviva all’indietro, con la mano, un ciuffo di capelli che gli cade sulla fronte.

«Alex… Ciao» improvviso, così, presa alla sprovvista, mentre non riesco a frenare la tempesta di ricordi che si abbatte nella mia testa.
Vorrei essere di nuovo su quel divano di pelle, a casa sua...

«Vediamo, che stai combinando su quel PC?» dice avanzando nel mio ufficio e mettendosi di fianco a me.
Si appoggia alla scrivania, dando le spalle alla porta, e mi guarda.

«Come stai?» mi chiede a bassa voce.
«Bene, beh… molto presa dal lavoro, oggi sono stata nel settore grafico, è davvero interessante...» opto per una conversazione tranquilla, che dissimuli la mia rabbia per il suo non avermi più cercata, o quello che ne rimane adesso che mi è di nuovo vicino.

«Sono contento che ti piaccia, è proprio lì che lavoravo all’inizio».
Abbozzo un sorriso e sposto lo sguardo sul monitor, fingendo di avere delle cose da fare.

«Senti, che programmi hai per giovedì sera?» chiede con fare suadente, rapendo di nuovo la mia attenzione. «Che ne dici di una cena?»
«Giovedì?» ripeto, alzando gli occhi su di lui. «Beh, sì… si può fare...» cedo, senza troppi giri di parole.
Per lui è stato davvero un gioco da ragazzi farsi perdonare.

«Bene, allora ci aggiorniamo», dice, dandomi un veloce bacetto sulla guancia, «scappo, ho una cena a Mellport stasera. Buona serata, Eve» e si dilegua dal mio ufficio con la stessa abilità con cui era apparso dal nulla.

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