3: nastro n.1, 18 Maggio 1997.

33 4 30
                                    

L' A R T E
D I
U C C I D E R E

Non mi piacciono i convenevoli. Dammi del tu, ormai il rispetto che avevo guadagnato l'ho perso tutto. Guarda dove sono. È una cortesia che mi abbiano tolto le manette. Fammi pure tutte le domande che vuoi, ho acconsentito a questa intervista con l'intento di rispondere a qualsiasi cosa mi venga chiesta. Letteralmente, qualsiasi. Però, se posso, vorrei cominciare dal raccontarti l'inizio dell'inizio.

Come sai, sono dell'idea che uccidere sia un'arte. L'ho sempre sostenuto. Uccidere è un'arte predisposta da un talento, come tutte le altre arti che conosciamo, solo che questa è illegale.

Un pittore scopre di saper dipingere durante le lezioni d'arte. Uno scrittore sente ardere il bisogno di scrivere dentro di sé. Un serial killer, invece, come scopre di possedere il talento di uccidere?

Io il talento di uccidere l'ho scoperto in modo anomalo in contrapposizione ai miei colleghi.
Molti iniziavano da bambini recando dolore alla selvaggina. Altri provavano un forte impulso di uccidere fondamentalmente durante l'adolescenza. Gli esperti, invece, dicono che una situazione familiare malsana influisca molto nella creazione di un serial killer. Per non parlare di chi crede che la causa di tutti i nostri mali sia il porno.

Nel mio piccolo so di aver rotto tutti questi schemi. Ho sempre vissuto una vita normale. Non ero masochista e non coltivavo nessuna rabbia pericolosa.
Vivevo in una normale famiglia americana del mid-west. Mia madre e mio padre si sono sempre amati, fino all'ultimo respiro. Si sono amati tanto. Devo pure specificarlo che mio padre non è mai stato violento nei suoi confronti? Eravamo la famigliola felice del Michigan.
Tra fratelli si andava d'accordo. Eravamo in cinque e non ci è mai mancato l'affetto e, tantomeno, non abbiamo mai ricevuto visite dagli assistenti sociali. Stavamo bene, sotto ogni punto di vista.
L'avvicinamento al porno non ha influito essenzialmente nella mia vita. Sapevo che esisteva, non era una parte essenziale della mia routine giornaliera o un tabù. La mia vita non girava attorno a quello, ecco.

A quindici anni ebbi la mia prima relazione con una ragazza che viveva vicino la nostra casa. Eryn. Era un normale relazionamento verso il sesso opposto. Le cose andavano bene, finché non si è dovuta trasferire nel Nebraska, circondata da capre e maiali. Ma la vita va avanti. Eryn eventualmente era solo un lontano ricordo. Abbastanza lontano da non ripresentarsi più.

Poi arrivi a quell'età in cui non ti interessa, ma sai che ti interessa. Non vuoi dimostrarlo. Ti becchi la prima cotta, quella seria. Quella che quando ti passa davanti arrossisci, diventi rosso come un peperone. Quella che quando la senti nominare ti si smuove qualcosa nello stomaco e ti ripeti che sei fottuto.
Però lei non ti calcola perché hai la faccia piena di brufoli e i capelli tagliati male dalla mamma e la camicia che puzza di ormoni e inesperienza.
Lei è quella popolare, tu sei quello che sta nell'ombra, che non è né popolare né siede con gli sfigati a pranzo. Non si può avere tutto dalla vita, no? Esatto, non si può. Ma questo non ha mai influito sulla mia indole omicida, come la chiamate voi.

Semplicemente, si va avanti. Si vive. Si migliora. Ci si accetta per quello che si è, che s'abbiano i brufoli su tutta la faccia, che si sudi troppo o che s'abbia qualche chilo in più. Ci si accetta, che è più importante di una cotta adolescenziale.
E dirai, allora è lì che hai avuto la rivelazione, no? Mi dispiace deluderti, ma no. Ebbi un'adolescenza che molti oserebbero definire normale.
Sì, è il periodo della nostra vita dove si fanno le prime esperienze, quelle importanti, quelle che ti caratterizzano come uomo adulto.
Ti parlo di sesso, festini a casa degli amici quasi popolari quando i genitori non c'erano, il premio per il miglior progetto innovativo di scienze per la cura dell'ambiente. Queste cose qua. Qualche serata in discoteca che ti stravolge la vita, qualche pomeriggio al bar a bere birra, ascoltando i soliti quattro vecchi del tavolo vicino alla finestra parlare del proibizionismo, come fosse ancora in vigore. Ne so più del proibizionismo che di qualsiasi cosa io abbia studiato nella mia vita.
E passavamo così i nostri weekend, tra una birra, un aneddoto sul proibizionismo e la fila fuori dalla discoteca, già ubriachi. Nessun omicidio, nessuna rabbia con conseguente assassinio. Ero un ragazzo normale, un po' precocemente alcolizzato, ma normale.

A diciassette anni la prima ragazza seria, quella che credevo fosse l'unica, insieme per sempre, finché morte non ci separi, Martha. Non so cosa vide in me, cosa l'aveva fatta innamorare, ma si era comunque presa uno sbandato come me.
Mi ha aiutato tanto, devo ammetterlo. Ha dato un senso alla percezione distorta che avevo della vita, così che improvvisamente tutte le cose di prima non mi interessavano più.
I weekend erano cambiati, non più il fine settimana al bar a bere, iniziando da qualcosa di leggero per poi aumentare sempre gradazione. Non più la canna in macchina durante il tragitto verso la discoteca. Non più serate pazze fino all'alba, ubriachi e fatti a far danni irreparabili.
Martha m'ha insegnato che i fine settimana si possono trascorrere diversamente: una cena fuori, un bel film al drive-in e poi accompagnarla a casa, il bacio davanti la porta, ed il ritorno a casa da solo, con le guance arrossate e le farfalle nello stomaco.
Era diverso dal solito, ma assolutamente bellissimo. Chi ne voleva più sapere dei bar, delle discoteche e dell'alcol? Esattamente, non io. Non mi interessava più.

Come è finito il tempo? Mi sembra di aver parlato solo dieci minuti. Che peccato! Non è che possono concedercene un po' di più? Solo un pochino. No?
Oh, mi dispiace. Hai preso appunti? Bene, così la prossima settimana sapremo da dove riprendere.

Sì, lo so che vieni una volta alla settimana. Me l'hanno detto. Anzi, sono riuscito a farmelo dire.
Mi avevano nascosto il calendario che la tua azienda aveva proposto ai piani alti. Mi entusiasmano queste visite. No, non fare quella faccia, non sto pianificando nulla. Sei l'unico che mi viene a trovare, non ho nessuno. Per questo mi entusiasmo, perché sono solo come un cane e vedere qualcuno che si interessa alla mia storia, alla mia vita, mi fa un certo effetto.

L'arte di uccidereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora