7: nasto n.3, 1 Giugno 1997.

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L' A R T E
D I
U C C I D E R E

Questa stanza e questi incontri stanno diventando un.. qualcosa. Tipo che me ne sto seduto nella mia cella a leggere e faccio il conto alla rovescia. Devo ammetterlo, non è facile quando non si può consultare il calendario, ma penso che — nel bene e nel male — in questo modo riesco a tenere la mente in allenamento. Cerco di capire quanti giorni sono passati dall'ultima visita e faccio un.. come lo chiamano gli inglesi? Un countdown. Sì, faccio un countdown approssimativo. A quanto pare ieri ci avevo azzeccato.

Oggi mi piacerebbe rispondere a qualche tua domanda. Sù, non fare quella faccia, il foglio l'ho intravisto durante la prima visita, col senno di poi non lo stavi nascondendo troppo bene. Ricorda: noi serial killer amiamo soffermarci sui dettagli.

Come sceglieva le sue vittime?

Mio Dio, Ezra! Te l'ho detto una decina di volte che preferisco quando mi dai del tu. Non devi portarmi alcun tipo di rispetto da galateo. Guardaci! Siamo in prigione, non al ristorante dove interpreto la parte del cliente ricco e maleducato e tu sei costretto a comportarti in un certo modo. Siamo tu ed io in una stanzetta umida per gli interrogatori, dove tu hai paura che ti possa uccidere perché mi hanno tolto le manette.

Colgo dalla tua espressione facciale quanto fosse inaspettato ciò che ti ho detto. Mi dispiace, non era mia intenzione metterti a disagio, Volevo solo.. volevo che la smettessi di darmi del lei. In ogni caso l'ho capito che ti metto paura perché il tuo linguaggio del corpo fa capire quanto tu ti senta a disagio o quanta paura tu abbia di me. Rilassati. Respira. Fai dei respiri profondi.
Se non funziona, lascia che ti dica una cosa: non rientri nel mio target, Ezra.

Vedo che ti sei calmato. Dunque, mi avevi chiesto come sceglievo le mie vittime. Innanzitutto devi sapere che un serial killer non agisce quasi mai d'impulso. Ogni nostra singola azione è premeditata.
Oh, sì. Non potrebbe essere altrimenti.
Tutto nella nostra vita — o, dovrei dire — nelle nostre vite è organizzato meticolosamente.

Quando ho scoperto di essere portato per questo tipo di vita, ho iniziato a tenere dei diari. Diversi diari in base a ciò che ci avrei annotato all'interno. Ne avevo dieci tipi diversi, che distinguevo per colore o fantasia. Cercavo di mantenere lo stesso schema ogni qual volta ne terminassi uno, perciò ne compravo uno identico e continuavo ad annotarci quel tipo di cose. Ricordo che cinque di questi erano diari a tinta unita: rosa, giallo, blu, rosso e verde. Mentre gli altri avevano delle strane fantasie, così da non confonderli con i colorati.

Il diario rosso era il mio preferito. Ci annotavo le cose importanti. Era pieno zeppo di schemi, tabelle ed elenchi.
Quando la sera vedevo qualche donna che mi sarebbe piaciuta me l'annotavo: posto ed ora in cui l'avevo conosciuta. Quasi come un promemoria. Così avrei saputo dove ritrovarla.
Lo facevo molto velocemente perché non volevo dare nell'occhio. Ti immagini? Un uomo seduto al tavolo di un nightclub che scrive nel suo diario per ore? Mi avrebbero definito pazzo. Lo rimettevo in tasca e, una volta di ritorno verso casa, mi fermavo nel parcheggio di un motel e ci annotavo tante altre cose: quando e come l'avrei uccisa, la tecnica d'adescamento e come mi sarei sbarazzato del cadavere.

Organizzavo gli omicidi come avrei organizzato il bat mitzvah del mio figlioccio: meticolosamente, doveva essere tutto perfetto. Ed è grazie a questo che per tanti, tantissimi anni, ho continuato a vivere la mia vita senza preoccuparmi di finire al fresco. Questo e il fatto che i detective di New Orleans non caverebbero un ragno dal buco nemmeno se il ragno se ne uscisse da solo.

Invece nel diario verde — che rappresentava la speranza, diceva mia nonna — ci annotavo dei dettagli ad omicidio compiuto: quanto ci misero a morire, quanto sangue persero, quanto fu difficile sbarazzarmi del cadavere. Così, in caso qualcosa fosse andato storto o non avesse rispettato i piani, avrei potuto leggere, leggere e rileggere finché non avessi affinato la mia tecnica. Di volta in volta, devo ammettere, che quel diario verde lo rileggevo sempre meno.

Negli altri ci annotavo cose prettamente normali, perché li tenevo a vista.
Mia moglie era al corrente che tenessi dei diari, le avevo detto che me l'aveva consigliato il mio terapista per calmare la mia nevrosi e lei aveva riso.
"Sta' attento, tesoro. Potrebbe voler pubblicare i tuoi scritti per vendetta dopo che sarai guarito. Come fece quel psicanalista in quel libro. Oh, mi sfugge il titolo. Fammici pensare.. Uh! La Coscienza di Zeno", mi diceva. Aveva un debole per i libri e lo trovai divertente, finché non le dovetti spiegare che la terapia e la psicanalisi erano due cose differenti, nonostante io non ci andassi nemmeno in terapia.
Ci scrivevo cose da tutti i giorni: il lavoro, la vita coniugale e famigliare e le mie relazioni sociali. Tre diari che lasciavo in giro per la casa per permettere a mia moglie di ficcanasare. Così avrebbe letto che a lavoro andava bene, che l'amavo da impazzire e che Leonard aveva preso a camminare quando lei non c'era e che m'ero dimenticato di filmarlo con la telecamera. Tante piccole bugie bianche per farla felice, per non farla pensare troppo a chi mi facevo quando la sera rientravo un po' più tardi o quando le dicevo che ci sarebbe stata una partita di poker da Joseph.

La realtà era un'altra. Strano, no? Un serial killer che mente, wow, chi se lo sarebbe mai aspettato. Non lo fanno mai!
Scrivevo di quanto odiavo i miei pazienti, quelli insopportabili che facevano finta di prendere le pasticche, poi suonavano quel dannato campanello perché troppo impauriti da un mal di testa. Scrivevo di quanto non sopportassi la tata, che cercava di provarci con me quando mia moglie non c'era. Come se un paio di tette più grosse m'avessero fatto rinunciare all'amore della mia vita. Scrivevo di quanto non sopportassi non riuscire a pianificare qualsiasi cosa. Scrivevo di come fosse andato realmente il mio pomeriggio e la mia serata e di come i miei amici riuscissero a rovinare il sacrosanto poker domenicale ogni maledetto weekend. Scrivevo i miei sfoghi e basta, perché vivevo in un mondo pieno di bugie e di tentazioni.

E devo ammettere che- Oh, è finito il tempo? Sembra durare sempre meno, o son io che mi dilungo sempre di più. Mi raccomando, t'aspetto la prossima settimana. Sta' attento, ci sono dei pazzi là fuori.

L'arte di uccidereWhere stories live. Discover now