undici

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11 "atlanta"
6 ottobre

jessica's pov
Parcheggiai l'auto davanti alla casa mia e Dylan dopo cinque estenuanti ore di autostrada, in cui non ho fatto altro che rimpiangere di aver accettato quella dannata proposta.
Sapevo che mi avrebbe ferito lasciarlo, ma non credevo così tanto.

Mi guardai allo specchietto dell'auto e mi pulì il mascara da sotto gli occhi, sistemai velocemente i capelli e poi scesi dall'auto, entrando nel vialetto di casa mia, dove vive anche Dylan.
Da quanto ho visto la sua macchina c'è, il che vuol dire che è in casa; avrei preferito avere almeno qualche ora per riprendermi da sola prima di affrontare anche lui ma evidentemente dovrò farlo subito.

Mi chiusi la porta alle spalle, presi qualche respiro profondo e poi salì al piano di sopra;
entrai nella stanza di Dylan e lo trovai lì, come sempre attaccato al computer a lavorare su non so cosa.
<Dyl, sono io> cercai di tenere il tono di voce più fermo possibile.
<Jessica> sorrise il ragazzo, staccando le cuffie dal computer ed alzandosi per abbracciarmi.

<non mi hai detto che tornavi>
<lo so, scusami, è che è stato tutto così improvviso che non..non ne ho avuto il tempo, scusami> abbassai lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime.
<fa niente> disse lui <vieni, abbracciami>
Dylan mi strinse a sé e, dopo alcuni secondi, anche io ricambiai leggermente la stretta.

<hai già cenato?> chiese Dylan, staccandosi dall'abbraccio.
<sì ho..ho mangiato per strada>
Bugia.
<sei sicura di stare bene? Sei pallida> mi accarezzò le guance guardandomi gli occhi ancora un po' rossi.
Io annuì e mi staccai leggermente.

<mi dici che succede Jessica?> domandò Dylan.
<che intendi?> chiesi io, incrociando le braccia al petto.
<sei scomparsa per un mese, non mi avvisi quando torni ed ora non mi parli neanche>
<Dylan io ho provato a chiamarti ma tu eri costantemente a lavoro così dopo un po' ci ho rinunciato!> esclamai io.
Lui mi guardò per qualche secondo in un modo strano, come se avessi appena detto la cazzata più grande del mondo.
<stai tranquilla però, non ho detto niente, non c'è bisogno di urlare>
Io sbuffai e scossi la testa.
<sono stanca Dylan, vado a riposarmi>

Uscì dalla sua stanza sbattendo leggermente la porta dietro di me, entrai nella mia e la chiusi a chiave; appoggiai la schiena sulla superficie e mi trascinai fino a quando toccai il pavimento: lì scoppiai a piangere.

...
<Jessica> Dylan continuò a bussare alla porta <sono passate due ore, voglio solo sapere se stai bene>
<sto di merda, ora vattene> risposi seccamente.
<possiamo andare da Wendy's a mangiare>
Mi alzai dal pavimento ed aprì la porta, trovandomi faccia a faccia con Dylan.
<mi fa cagare quel posto, non te l'ho mai detto per non ferirti ma mi fa davvero schifo la carne che fanno>

<okay, dimmi qual'è il problema> disse lui, diventando più serio.
<te l'ho detto, è la carne- >
<non intendo quello Jessica> disse lui <intendo qual'è il tuo problema, cosa c'è che non va in te!>
Io non risposi, scossi semplicemente la testa.
<se è per quello che ho detto prima scusami, non volevo- >
<cazzo Dylan non capisci?!> sbottai io <sono piena di casini, la mia vita è uno schifo e il mio problema non è quello che mi hai detto tu oppure quel ristorante di merda!>
<non posso aiutarti se non mi parli Jessica! Cazzo mi sembri una psicopatica!>

<< avevo ragione a dirti che eri solo una psicopatica del cazzo Jessica >>

Io restai immobile, un po' per la sorpresa nel sentirlo dire da Dylan ed un po' per i ricordi che quella singola e stupida parola mi hanno riportato alla mente.

<merda mi dispiace> abbassò subito la voce Dylan facendo un passo verso di me.
<sai cosa Dylan? Vaffanculo, trovati qualcun'altra e magari non "psicopatica"
okay?> dissi in modo ironico, sollevando le mani all'aria.
<io volevo solo avere una conversazione normale con la mia ragazza che è sparita per un mese e non so dov'è stata, con chi e cos'ha fatto!> esclamò lui <tu mi hai attaccato senza una ragione, io sto solo provando a parlarti!>
<forse è perché non ho voglia di parlarti Dylan! È inutile che continui a stressarmi se ti do tanto fastidio> dissi <anzi sai cosa? Se ti sembro così psicopatica, così insopportabile, non mi parlare!>

Mentre stava per rispondermi, sentì un conato di vomito arrivarmi in gola; misi immediatamente una mano sulla bocca e mi piegai leggermente in avanti.
<Jess?> mi si avvicinò Dylan <hey che succede?>
Se aprissi la bocca vomiterei sul pavimento, come pensi che riesca a risponderti Dylan?

Stavo aprendo la bocca quando un altro conato più forte salì in tutto il mio stomaco; corsi in bagno, chiusi la porta a chiave e poi vomitai.

Appoggiai la schiena al muro del bagno e scoppiai a piangere: forse nervosismo, forse tristezza, forse solo rabbia.
Fatto sta che mi sta venendo di nuovo da vomitare.

...
<Dylan!> urlai con tutta la forza che possedevo, non molta dato che ho appena vomitato per la quarta volta.
<Jess sono qui, come ti senti?> disse il ragazzo da dietro alla porta.
<portami il telefono> dissi debolmente io.

Poco dopo sentì bussare, aprì e velocemente presi il telefono, poi richiusi la porta a chiave.

Presi un bel respiro, poi schiacciai il contatto dell'unica persona che mi sarebbe stata d'aiuto, anche se non avrei voluto chiamarla.
Sophie.
Sophie è la mia sorellastra, ha tre anni più di me e abbiamo la stessa mamma; lei ha sempre vissuto con suo padre e non ci vediamo molto spesso, ma lei abita qui ad Atlanta ed è l'unica che può aiutarmi.
<< Jessica? >>
<< Sophie >> singhiozzai io.
<< hey, che succede? >>
<< s-sei ad Atlanta? >>
<< sì certo, hai bisogno? >>
<< puoi venire a casa mia il prima
possibile? >>

Poi aggiunsi << con un test di gravidanza >>

hope | payton moormeier Kde žijí příběhy. Začni objevovat