Pensieri ed incidenti

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PENSIERI ED INCIDENTI

A Percy era sempre piaciuto veder sorgere il sole. Quel grosso globo infuocato che rischiara ogni cosa con la sua luce, e che in cambio non chiede nulla. Un po' come suo padre- si disse Percy- che gli dava affetto, amore senza chiedere nulla in cambio. Un uomo burbero, eppure dolce. Sì , proprio come il sole, forte da bruciare la pelle in estate, ma anche da scaldare un corpo intorpidito d'inverno. Percy se ne stava affacciato sul balcone, in quella mite giornata di Novembre, guardando l'orizzonte ed i grigi palazzi che si stagliavano in lontananza. Lo sguardo era distante e tremendamente spento. Perchè, come solo chi lo conosceva bene poteva sapere, dietro quegli occhi di un verde più scuro del mare, infuriava la tempesta. Erano passati tre giorni, eppure il peso che gli gravava sullo stomaco non accennava a diminuire. Una nuvola, fugace, per un attimo oscurò il globo infuocato, e fu allora che il ragazzo perse il controllo: urlò, forte, facendo uscire fuori tutto ciò che aveva dentro, tentando di cacciare via il veleno che stava dilaniando il suo animo. Ma dalla sua bocca uscì solo un suono sconnesso, carico di tensione e disagio, angoscia, paura, e sopra ogni altra cosa dolore. Le mani si serrarono attorno alla ringhiera, ed il ragazzo si accasciò a terra. Ma le lacrime non uscivano, il vuoto tornava a farsi strada nel suo petto, più forte di prima.

Il campanello squillò due volte. E Sally corse ad aprire la porta. Sulla soglia, Annabeth Chase teneva in mano il cartone di una pizza ed una grossa bottiglia di Pepsi Coke:

“ Buonasera, signora Jackson, Percy è in casa?”- chiese, la ragazza, con un fil di voce. La donna sorrise, triste, gli occhi lucidi. Si scostò dalla soglia indicando alla ragazza di entrare, le fu difficile perfino salutarla, le labbra che non volevano schiudersi. Sally si congedò subito dopo, chiudendosi in camera sua, probabilmente, pensò Annabeth, a sfogliare uno dei tanti album di fotografie che , in genere stavano sulla mensola del salotto, adesso vuota. Le era sempre sembrato che la porta della camera di Percy fosse una sorta di decorazione senza senso. Mai, in tanti anni che aveva frequentato quella casa, aveva trovato la porta blu sbarrata. La ragazza aveva bussato, ed era entrata, senza aspettare risposta. Percy era sdraiato sul letto. Il pranzo, del tutto intatto, era stato lasciato sul comodino. Il ragazzo aveva le cuffie infilate nelle orecchie, la musica a tutto volume. Annabeth gli si avvicinò cautamente, sedendosi ai piedi del letto.

“Percy”- disse mettendogli una mano sul ginocchio- “ ho portato la pizza, è la tua preferita! Quella con origano ed acciughe!”- non ricevette risposta. Non un “ ciao”, né un “ come stai”. Ma Annabeth si era aspettata una reazione del genere, lei lo conosceva meglio di chiunque altro: Percy era la persona più rompiscatole e solare del mondo, eppure, quando gli accadeva qualcosa di brutto, si rinchiudeva in sé stesso, tenendo lontano chiunque. Anche lei.

Annabeth afferrò l'MP3 e staccò le cuffie, interrompendo la sferzando musica che a Percy tanto piaceva ascoltare. Il ragazzo alzò il volto, guardandola in maniera fredda e distaccata.

“Perchè l'hai fatto?”- sussurrò, con voce dura- “Stavo ascoltando!”

“Hai tenuto quest'affare nelle orecchie fin troppo allungo, Percy! Ho portato la pizza, la tua preferita! Adesso ti tiri su e ne mangi almeno un po', poi ci scoliamo tutta la bottiglia di Coca-cola e ci guardiamo una puntata di “Once Upon a Time”, okay?”- la ragazza non ricevette risposta, le sue parole una vana eco che si disperdeva nella cupa semioscurità della stanza. Percy scattò verso di lei riprendendosi, con uno strattone, le cuffie. Annabeth rimase impietrita, a guardare quello che succedeva , impotente davanti all'oscurità che circondava l'amico. Una parte del suo cervello le gridava di andarsene, di lasciar stare quel ragazzo che non riusciva più a riconoscere. Annabeth si alzò, dirigendosi verso la porta. Fu allora che Percy alzò lo sguardo: i loro occhi si incontrarono, e per un attimo, per un solo fugace istante, Annabeth vi scorse una scintilla, un barlume di luce in quel verde tanto scuro e profondo. E forse fu quella luce a spingerla a rimanere, a farle gettare via l'orgoglio ferito, ed a farla avvicinare al letto. Annabeth provò ad intrecciare di nuovo il proprio sguardo con il suo, eppure Percy aveva già abbassato gli occhi . La ragazza si sedette nuovamente ai piedi del letto, la pizza e la coca cola giacevano abbandonate sulla vecchia scrivania azzurra. Percy pigiò il tasto “stop” e si tolse le cuffie, puntando lo sguardo sull'amica. Annabeth si mosse con una velocità tale da lasciare il ragazzo totalmente spiazzato. Una massa di boccoli biondi lo investì, stritolandolo in un abbraccio soffocante, un abbraccio al quale Percy non rispose. Annabeth sentì che gli occhi pizzicavano, che le lacrime scendevano senza che lei potesse fare nulla.

Più tardi si sarebbe data della stupida, avrebbe maledetto il momento nel quale aveva iniziato a singhiozzare sulla spalla dell'amico , sussurrando dei falsi “ andrà tutto bene”. Perchè, Annabeth lo sapeva, non sarebbe andato tutto bene quella volta, i morti restano morti, ed i vivi restano vivi. È questa la regola, tornare indietro non è possibile, il tempo non ha padroni, la vita, la morte, non rispondono ad alcun signore. Non sarebbe andato tutto bene, il vuoto sarebbe rimasto, l'oscurità lo avrebbe divorato, e lei non avrebbe potuto fare nulla, impotente di fronte all'enorme peso che gravava sulle spalle dell'amico. Eppure in quel momento su ogni pensiero e ragionamento era prevalso lo sconforto, e la ragazza non aveva potuto fare nulla per impedirsi di piangere. Percy era rimasto immobile, beandosi, in un certo senso, del calore che quel contatto gli provocava. Non aveva detto nulla, non una sillaba era fuoriuscita dalla sua bocca. Annabeth lo lasciò andare, tamponando gli occhi con le maniche della felpa che indossava. E poi era scappata via dalla stanza, mormorando un “ ciao” a voce tanto bassa da poter essere appena udito. E Percy era tornato a distendersi sul letto, il freddo che gli stringeva il petto.

Annabeth era tornata a casa in lacrime, talmente arrabbiata con sé stessa da prendere a pugni l'enorme cuscino rosa che stava in camera sua. Si era diretta verso il balcone, accendendosi una sigaretta. Guardò il grigio panorama notturno, concentrandosi sulle macchine che passavano, tentando di distinguerne il contorno. “ Non gliel'ho detto”- pensava- “ Vigliacca oltre che inutile.” Il vento le sferzò il volto, facendo ondeggiare i boccoli dorati. “ Non si meritava tutto questo, non se lo meritava”- urlò nel vento- “ PERCHE' ? Lui non ha mai fatto del male a nessuno, non se lo meritava , cazzo! È tutto così tremendamente ingiusto”- concluse scivolando contro la parete, la testa che vi aderiva perfettamente, lo sguardo basso, puntato verso i piedi.

Quella mattina Percy sarebbe tornato a scuola. Erano passati quattro giorni, un misero lasso di tempo, insufficiente per superare il lutto. Eppure, pensò Percy con una punta di ironia, dal lutto non ci si riprende, neanche dopo anni ed anni. Era quindi inutile rimanere chiuso in casa ad ascoltare musica a tutto volume e a non mangiare, guardando fuori dalla finestra, contemplando l'inesorabile avanzare del tempo. Un passo dopo l'altro, era questo che si ripeteva, un passo dopo l'altro, solo così riusciva ad andare avanti.

Un brivido gli percorse la schiena, spingendolo a girarsi. Un ragazzo vestito di nero, il petto fasciato da un giubbotto di pelle, stava attraversando la strada , nelle orecchie un paio di cuffie. Ma il ragazzo non guardava dove stava andando. Un'auto scura sfrecciò a tutta velocità sulla strada, lo avrebbe investito!

In seguito Percy non seppe spiegare come le sue gambe fossero partite, o perchè le sue braccia avessero afferrato e tratto via dalla strada il ragazzo. Eppure adesso Percy stava stringendo un'esile figura dal colorito pallido.

Nico di Angelo si sentì travolto e sbattuto sul marciapiede, alzò lo sguardo pensando alla ramanzina da fare al suo aggressore, trovandosi a scorgere due occhi di un verde tremendamente intenso. Solo in seguito realizzò ciò che era successo, rendendosi appena conto dell'automobile che sfrecciava lungo la via. Nico arrossì violentemente, ritraendosi. Percy si alzò all'impiedi, afferrandolo poi per una mano.

“Dovresti guardare dove vai...”- gli sussurrò, con un'insolita dolcezza nella voce.

“Già, si... ehm, grazie. Cioè, quell'auto mi avrebbe investito...”- Percy annuì.

“ A quanto pare facciamo la stessa strada.”-disse il più grande, indicando con un braccio la via che si apriva di fronte a loro. I due si avviarono verso la scuola, restando in silenzio, quasi avessero paura di scoprire chi avevano davanti.

Remember me (Percico: Percy Jackson x Nico Di Angelo)Where stories live. Discover now