8. Rigodon

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"Edy, adesso calmati".

"Calmarmi, dici? Non puoi capire, Vittorio". Borsone, valigetta, casco e giacca finiscono uno dietro l'altra sul letto che era stato di Edoardo, prima che lui, figlio devoto, decidesse di rinunciare al titolo. E ai suoi oneri. La sua stanza era il suo rifugio, lo è ancora.

"Dai, respira. In fondo, non è che una donna, giovane e innocua. Sembra sua figlia, hai notato come lo tratta? È troppo rispettosa perché ci sia del tenero tra loro, dammi retta".

"Tu non immagini, Vitty. Non puoi proprio".

"Ascolta, se vuoi chiarire come stanno le cose devi almeno fingere di essere felice di trovarti qui e piano piano riavvicinarti a tuo padre. Altrimenti, non attacca".

Sbuffa, Edoardo. Le mani incrociate sulla nuca, le guance arrossate. Gli occhi che non stanno fermi, proprio come le sue gambe, e percorrono il perimetro di quella che è rimasta la sua camera, tale e quale. La collezione di fumetti sugli scaffali sopra la scrivania. Un'infinità di Diabolik che gli hanno tolto il sonno, prima che arrivassero le ragazze e il lavoro. I poster di Bruce Springsteen. Il diploma, l'attestato di laurea. Una fotografia che non ricordava, e che gli graffia il cuore già tremolante.

Vittorio sembra leggergli nel pensiero, stacca la cornice dalla parete e, dopo un istante di silenzio, la agita in aria. "Monte Raso, primi anni Duemila. Dico giusto?".

Edoardo annuisce. Oltre il vetro continuano a sorridere alla fotocamera tre scalatori e una scalatrice. Lui e Vittorio a braccetto, con gli zaini grandi Invicta sulle spalle ancora esili e i panini in mano, e Adam e Lavinia vicini, guancia a guancia. Stavano già assieme, allora.

"Ci mancava Adam".

"L'ho pensato anch'io. Non ha mosso un dito per venire ad accoglierci. Alla faccia dei rancori sopiti".

"Gli parlerò".

Colombo sbircia dalle tende giù, in giardino. "Undici anni dopo", gli compare sul viso un sorriso sbilenco. "Giochi d'anticipo, fratello mio".

"Dai, non scherzare. C'è davvero poco da ridere. Come ho potuto...".

"Come hai potuto cosa?".

Edoardo si lascia cadere sull'angolo del materasso rimasto sgombro. "Lascia stare. Ci darò un taglio e nessuno dei due si farà del male".

Ma intanto si tortura: come ho potuto invaghirmi di quella ragazza? Come ho fatto? Sente rimbombare nella testa il rimorso e la vergogna. Anche me, stava per fregare anche me!

"Non mi toglierai il saluto per quanto sto per dirti?".

Edoardo alza gli occhi, mesto: "Dipende. Tu provaci".

"Be'...", Vittorio gonfia il petto minuto e si sistema la cintura. "Ammettiamolo: ce la siamo tratteggiata diversa, questa Lura Camatel. Non trovi?".

Diversa. Ma che fai, Vitty: mi leggi nel pensiero, adesso?

"Vittorio, cosa diavolo stai insinuando...".

Le lenti che riflettono le lucine del gazebo, lì sotto, e l'amico fraterno sembra per un istante passare dall'altro lato della barricata: "È decisamente bella", lo spiazza senza neppure guardarlo. Perché impegnato a guardare lei.

Bella? Di più. Bellissima. A Edoardo pare di sentire scorrere fra le dita quelle di Lura, fresche e lunghe, come al suo arrivo di poco prima alla villa.

"Ed è solare e diretta e battagliera".

Solare. Edoardo ripensa al cartoncino dell'invito, color pervinca, e alle paillettes sparse su tutto il piano della scrivania. E diretta e battagliera...

La coinquilina di papàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora