20. Yakamoz

1.2K 110 52
                                    

Le era già capitato di vedere un albero simile. E al solo pensiero il cuore le sembra accartocciarsi, dolente. "Saranno passati almeno vent'anni", si stringe nel golfino. "C'era mio padre con me, non ero che una bambina". Lura percorre con le pupille lucide quell'intrico di rami, ancora carichi di foglie, e inspira. La notte macchia tutto di nero, eppure a lei non serve vedere i colori, cogliere i dettagli. Può immaginarli da sola, nitidi, gli occhi di Allah lasciati oscillare al vento.

"Il posto aveva un nome che non saprei pronunciare, forse nemmeno sarei in grado di tornarci, ma ricordo esattamente quell'albero. Ci fermammo diversi minuti solo per guardarlo, io e papà. Credo di avere anche una fotografia, sepolta da qualche parte". 


Edoardo le è accanto, ascolta assorto quel racconto ritagliato per puro caso, giusto un istante, percorrendo il vialetto di Villa Yakamoz. Il giardino della casa di Alessandro Aslan è puntinato di faretti, or qua or là, e un paio illumina proprio il tronco dell'albero che ha attratto l'attenzione di Lura. "Un albero degli amuleti", la sente sospirare. "Non è magnifico?". 


"Un pezzo di Turchia a cui il padrone di casa non voleva rinunciare", prova a spiegarle lui. Che non guarda l'albero, no: non c'è visione che possa distoglierlo da lei, in quel momento. "Alessandro Aslan viene da Istanbul. È italiano per metà, proprio come te". 


"Un meticcio?", Lura si volta mostrandogli un sorriso forzato. Il ricordo del padre, di cui non aggiunge altro, l'ha evidentemente toccata nel profondo. "Allora ci sapremo intendere, lo sento. Sono davvero curiosa di conoscere questo pubblicitario", e nel fare segno a Edoardo di precederla - ha visto ciò che voleva vedere - si avvia lentamente verso la porta d'ingresso della villa.


Occhi in alto e tutt'attorno, ad affascinarla, subito dopo, è proprio la struttura nata dal progetto del famoso architetto Marchesi. L'uomo che le cammina a fianco, che ha scoperto più vicino che mai, al quale deve ancora una risposta. Ti lascerai amare, Lura? L'uomo che, con lei, attende di essere ricevuto.


"Ti piacerà", la accompagna Edoardo, reggendola delicatamente con la mano spiegata, che posa al centro della sua schiena minuta. "Piace a tutti, Aslan". 


Ed è proprio così. La porta si spalanca e Lura, timida, d'istinto indietreggia. Tuttavia, le basta incrociare lo sguardo limpido di quell'uomo dai tratti spiccatamente mediorientali per avvertirne lo spirito cortese, un'indole particolarmente accogliente. 


Veste semplice, il famoso Alessandro Aslan. Una maglietta azzurra e un paio di jeans. Piedi scalzi. I capelli lunghi e scuri raccolti dietro la nuca, in un codino da samurai. 


"La mia casa è la vostra casa. Siate i benvenuti". Palmi giunti, Aslan apre il viso a un sorriso bianchissimo. 


"Vieni qui, uomo di Turchia". Edoardo allarga le braccia per stringerlo forte. Ed entrambi si scambiano sonore pacche sulle spalle, prima di tornare composti. "So che sei molto impegnato, Alessandro, quindi grazie per aver trovato un po' di tempo per noi". 


"È il minimo", e di scatto Aslan si rivolge a lei, Lura, rimasta in disparte: "Gli amici di Edoardo sono miei amici. Hoşgeldin anche a te. Chi sei, amica mia?". 


"Mi chiamo Lura. È un piacere conoscerla". Un passo avanti, proprio come - è un flash che le illumina la mente - quel lontano pomeriggio della sua infanzia in un bazar affollato, pieno di tappeti e piramidi di datteri, lampade di ogni foggia tutte accese in angoli minuscoli, e sandali di cuoio. Dove l'avevano accolta allo stesso modo: hoşgeldin


Galata, il bazar di Galata, quel nome ancora se lo ricorda.


"Hoşbulduk, signor Aslan", scandisce un filo incerta. Suo padre salutava sempre con quella parola e a lei viene spontaneo fare altrettanto. 

La coinquilina di papàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora