12. Quella ragazza ti piace?

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"Togliti dalla testa che mi metta a piedi nudi sul prato. Non è igienico, tantomeno elegante".

"E lei quanto è noioso, invece...". Lura, di spalle con il viso rivolto al sole, si gira e allarga le braccia sottili. "Me lo spieghi. Come riesce a farsi venire delle buone idee, se tiene i piedi schiacciati dentro a quei mocassini?".

Edoardo punta le scarpe sull'erba: "Si dà il caso che sopra queste suole siano nati e cresciuti progetti degni dei migliori premi, signorina. Adesso, fammi il piacere di tornare in casa".

"E perché? Ha cambiato idea e non vuole più il mio aiuto?".

"Lura, io non ho mai voluto il tuo aiuto. Ti ho seguita in giardino soltanto per chiudere la discussione. Tutto qui".

Le risate di Caterina riecheggiano oltre la veranda, accompagnate dal guaito di Pierrot e dalle esclamazioni di Vittorio, evidentemente impegnato a intrattenere i suoi ascoltatori a colpi di barzellette, tra una fetta di torta e un sorso di caffè.

Lura non ride, osserva la sua amica sbellicarsi e il Professore massaggiarsi lentamente il mento. Segno che Paolo si sta divertendo, quel tic è il suo modo per stare al gioco.

Edoardo intanto la osserva a braccia conserte, la cravatta stretta nel mezzo. Il nodo ancora perfetto.

Cosa starà pensando? Impossibile indovinare.

Si sente in soggezione, Lura. E teme di darlo a vedere. Così, dapprima incerta, prova a infondersi coraggio strofinando i piedi che l'erba solletica, gentile.
"Il Luberon non è solo un posto", recita socchiudendo d'un tratto la palpebre. "È un modo di vivere. Chi ci è nato e non ha potuto restarci non smette mai di rimpiangerlo. Avrà nostalgia del frinire delle cicale, della fioritura della lavanda che tinge i campi di viola e al tramonto gareggia con il rosso aranciato del cielo. Gli mancherà la polvere gialla della terra, i pinnacoli e le falesie di ocra, il buon vino".

Lura racconta e Edoardo resta in ascolto, in silenzio. La sua posa ora è più rilassata, giocherella nella tasca con il ciondolo che ha avuto in regalo, la cicala della ragazza della bicicletta azzurra che lei non può vedere, e il suo viso sembra essersi fatto più disteso. Non chiede, non interrompe. Semplicemente lascia che il mondo di Lura gli si schiuda davanti, immaginandolo per come lei ha scelto.

Quello non è un interrogatorio. Lo sanno entrambi. Cosa sia, però, non è chiaro. Non ancora.

"I miei nonni materni vivevano a Gordes, ma avevamo parenti anche a Roussillon e a Lourmarin. Il Luberon era la meta delle vacanze, ci tornavamo d'estate. I mesi più belli della mia vita, sin da bambina". Sospira, Lura: "La famiglia di mio padre, invece, era divisa in due. La parte italiana, quella del padre di mio padre i Camatel, si faceva sentire ogni tanto, molto poco a essere sincera. La parte francese, cioè la madre di mio padre, commerciava a Grasse e là era tutto diverso, incredibilmente lontano dal Luberon. O almeno questo sembrava a me. Comunque, quella era la mia realtà: a Grasse stavamo noi tre, io e i miei genitori. Mi mancavano i filari di lavanda, chiedevo spesso di tornarci. Ma non era possibile, loro lavoravano moltissimo. Allora, non mi restava che consolarmi portandomi dietro la nostra terra nel nome".

"Lura... È davvero questo il tuo nome? In effetti, è insolito".

"Lo è. Ci hanno messo un po' di fantasia e mi hanno chiamata come il monte Lure. Non l'ha mai fatto nessuno prima, nemmeno laggiù".

"Ti sta bene". A Edoardo sembra di sentire per la prima volta quella nota arricciata nel suo modo di parlare, una erre in verità appena accennata, che trabocca nella pronuncia perfetta di quei borghi. Gordes, Roussillon, Lourmarin, Lure. "Decisamente francese". Fa una pausa, poi: "Decisamente particolare", si lascia sfuggire. E subito se ne pente.

La coinquilina di papàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora