13. Tregua

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E fu così che

che lei finalmente

capì

"No, meglio comprese".

E fu così che lei finalmente comprese...

"Uff, non va". Lura abbandona la tastiera sbuffando. È dall'alba che prova a stendere un altro capitolo del suo nuovo romanzo, ma sembra tutto inutile: le frasi si srotolano a fatica, le parole vengono meno, i personaggi risultano piatti. Ha la mente altrove, è questo il problema. E i pensieri che si posano su un gilet doppiopetto a sei bottoni, cravatta abbinata, il completo tagliato su misura.

"Concentrati, Lura", esclama con il viso tra le mani. "Altrimenti, chi la sente la tua editor?".

Nello studio ch'era del Professore e dal suo ritorno non lo è più, anche Edoardo posa le carte sulla scrivania e con stizza spegne il computer. Espira, l'Architetto, per sciogliere i nervi tesi. Non è ancora riuscito a trovare la benedetta intuizione, dalla quale gli sarà facile muovere mattoni, infissi e planimetrie. E poi c'è il malessere che, dal rientro dal pub della sera prima, non lo molla, testardo.

"Che ti prende, Edoardo? Ragiona, per l'amor di Dio!".

Ma non c'è verso di ragionare. Il rischio calcolato, la formula con la quale ha sempre fatto quadrare la sua vita, stavolta non è calcolato per niente. Solo, lo credeva.
Vittorio ha ragione? Lura gli piace, e fino a che punto?

"Non può essere. Devi distrarti", Edoardo si rivolge a se stesso e sembra quasi minacciare quella parte che lo fa sentire particolarmente nervoso. Scatta in piedi e si avventa sull'armadio.

Cercano entrambi sollievo altrove. Ovunque, pur di non impegnare la testa su quel che, una testa, la reclama. E per un soffio non si incrociano sulle scale: lui scende velocemente, dopo essersi infilato una tuta da jogging e aver attivato gli auricolari, e passa dal retro; lei, lasciata la dependance e attraversato il giardino, entra dalla porta della veranda e saltella in cucina.

All'esterno, l'aria è umida e fresca, lambisce il viso di Edoardo e ottiene subito l'effetto sperato. La corsa nei dintorni della villa comincia dalla sua canzone preferita, quella che - una volta passata tutta la lista - si ripresenterà in riproduzione al suo arrivo al Belvedere. All'esatto minuto numero trenta, cioè a metà del percorso.

Trenta sono anche le righe che Lura è riuscita a scrivere dopo due ore passate a contemplare un foglio elettronico bianco. Le ha già imparate a memoria, le ripete ad alta voce mentre recupera una tazza e la bottiglia di latte fresco. Ha acceso il piccolo televisore che la cuoca Milly usa per avere compagnia, quando è in servizio. E dall'altra parte dello schermo un omone, carico di nastrini sull'uniforme, recita le previsioni meteo del giorno.

"L'hai sentito, Lurette?". Paolo avanza lentamente, facendo forza sul bastone. Le ciabatte che strisciano, le anche che svirgolano.

"Buongiorno, sei mattiniero oggi". Lascia la bottiglia del latte aperta sul tavolo per correre da lui, Lura. Sottobraccio, raggiungono la prima sedia a portata.
"Danno pioggia incessante fino a sera, questo intendi?".

Il Professore tossisce, una due volte: "Appunto. Che ne dici di accompagnarmi subito al camposanto, prima che arrivi il temporale? Le nuvole sopra il monte Raso non promettono niente di buono".

"Certo, muoviamoci".

"Forse stavi per...".

"No, Paolo. Non importa. Mangerò quando torneremo". Lura si infila spedita nel ripostiglio e si presenta con un paio di scarponcini spessi e una giacca. "Faccio io", precisa già in ginocchio, pronta ad aiutare il vecchio Marchesi a vestirsi.

La coinquilina di papàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora