3. Three friends in the Moonlight

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«Avanti andiamo» mi esortò Bless e iniziò a zampettare verso l'ingresso della palestra.

Un frastuono violento mi frustò le orecchie appena varcai la porta, con esitazione. Rumori, voci e suoni fragorosi esplosero all'interno, soffiarono via dalla mia mente pensieri arzigogolati che sapevano di ricordi sbiaditi e malinconica nostalgia. Mi guardai intorno, sollevai gli occhi, strizzai le palpebre di scatto accecata dallo sfavillio di colori scintillanti che decoravano le pareti, e le luci brillanti che illuminavano il centro. Lo svolazzo concitato di bandiere bicolori, cappelli stravaganti, striscioni disegnati mi investì il viso. Il fracasso riempì l'atmosfera rendendola elettrizzante e gonfia di entusiasmo.

Il campo da basket era un grande rettangolo, con un ambiente posto su di un lato circondato da file rialzate di posti a sedere. C'era gente ovunque: qualcuno sgranocchiava popcorn e salatini, altri entravano portando accessori per sostenere la propria squadra. Bless stava cercando di farsi strada, scalciando e pestando con noncuranza, mentre io tentavo di rimanere in piedi. Ad ogni passo che feci, pregai di non essere trasportata via dalla fiumana di persone che si riversava profusamente all'interno. Tirai forte la borsa, incastrando le unghie nei palmi quando una trombetta assordante starnazzò dietro di me, sobbalzai terrorizzata urtando maldestramente qualcuno.

«Mi scusi» farfugliai timida accarezzandogli il braccio.

«Sta un po' più attenta» mi rimbeccò l'energumeno membruto, lo fissai accigliata.

«Joy vieni» gridò Bless a qualche metro di distanza, inghiottita dalla folla. Mi diressi verso di lei, urlando improperi all'indirizzo del maleducato. Le afferrai la mano, stringendola forte.

Non so nemmeno come mi ci ritrovai, lì. Ma un attimo prima ero in mezzo ad un branco di sconosciuti eccitati, e un attimo dopo ero seduta sui gradini di uno degli spalti, strizzata dalle spalle possenti di un ragazzo che ridacchiava beffardo, assieme ad un compagno grosso quanto lui. Mentre tentavo di abituarmi ad un contesto sconosciuto che urlava e strepitava impazzito fracassandomi i timpani, e l'odore di ascelle sudate mi tempestava il naso costringendomi a storcerlo per il disgusto, mi ritrovai a maledire a me stessa per aver accettato l'invito di Bless.

«Ti presento un amico, Joy lui è Trevor»

Mi voltai. Allungai una mano verso il ragazzo sconosciuto e lo sentii stringermi forte il palmo.

«Chiamami pure Trev, Bless non ha fatto altro che parlarmi di te per tutta la lezione di Anatomia, è un vero piacere conoscerti»

La sua gentilezza mi colse del tutto impreparata, fu una ventata fresca ed improvvisa. Trevor aveva folti capelli neri, un sorriso aperto e luminoso che gli arrivava fino alle iridi celesti. Striature sottili di smeraldi si incastravano in quel cielo sereno, una combinazione complessa di verde e azzurro, a dir poco, meravigliosa. I suoi occhi furbi e vispi sprigionavano un carisma dirompente, scorsi nel riflesso il mio volto imbarazzato, la bocca spalancata e un'espressione da ebete da incorniciare.

Sempre la solita...una figuraccia dietro l'altra.

«Joy, il piacere è mio» lanciai un'occhiata furtiva a Bless, mi guardò dritta in faccia, arcuando le labbra in un sorriso compiaciuto.

Pochi attimi dopo, un gruppo di ragazzi entrò in campo, disperdendosi negli angoli. Un coro crescente di voci si sollevò, Bless e Trevor esultarono con i pugni verso l'alto. Li guardai incuriosita come se gli fosse appena spuntata un'antenna in testa.

Perché tanta gioia?

I giocatori saltellavano sul posto, sospirando sommessi, altri distendevano i muscoli delle braccia nerborute e le gambe atletiche. Blu e arancione erano i colori predominanti, gli stessi richiamati nelle strisce di stoffa scarabocchiate e nelle bandiere che avvolgevano il collo di qualche spettatore. Tutto d'un tratto, l'aria divenne tesa, si caricò di sguardi torvi, fischi sibilanti e prolungati, urla bellicose e improperi gracchiati a denti stretti accompagnarono l'ingresso di un'altra squadra, vestita di rosso e nero. Ipotizzai che fossero gli avversari.

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