6. La Notte dei Baci

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Trevor cominciò a roteare sul posto come un bimbo felice, mentre mi teneva stretta tra le sue braccia nerborute. Adagiata in malo modo sopra la sua schiena, con la pancia che premeva decisa sulla spalla appuntita, lo pregai di lasciarmi seduta stante. Ma ad ogni mia insistente richiesta, seguiva una piroetta da capogiro. In pochi secondi, il sangue mi arrivò dritto al cervello e iniziai ad avvertire un forte dolore all'altezza delle tempie. Tanto insopportabile da costringermi a serrare gli occhi, strizzando forte le palpebre tra loro.

Mi stava volutamente ignorando, convinto quello fosse il modo migliore per indurmi a cedere. In verità, non faceva che accrescere dentro di me la rabbia; ardeva senza controllo come brace incandescente. Il mio livello di sopportazione stava per esaurirsi, la voce supplichevole con cui lo stavo implorando, divenne tutto d'un tratto minacciosa, sino a quando, esausta, gridai a squarciagola di mettermi giù.

Non esitò ancora, mi afferrò per i fianchi e mi adagiò con delicatezza a terra. Una vertigine improvvisa mi colpì la testa e barcollai sulle mie stesse gambe, molli come gelatina. Bless mi prese per le spalle e mi tenne stretta a lei, sorreggendomi per impedirmi di cadere. 

«Joy, ti senti bene?» mi chiese spaventata.

No, cazzo. Non stavo affatto bene.

«Mi gira tutto...» risposi fredda, massaggiandomi una tempia.

«Sei impallidita, vuoi...vuoi un bicchiere d'acqua?»

«Scusami, mi dispiace non avrei dovuto! Che idiota, mi sono fatto prendere dall'euforia, vuoi sederti? ...» disse Trevor afflitto. Sollevai il viso, scorsi il suo volto ottenebrato da un'espressione mortificata, così scossi la testa, bloccando il flusso disconnesso delle sue parole.

«Tranquilli...è tutto ok!» mi sedetti sul primo gradino del portico di casa, poggiai la schiena contro la porta d'ingresso e respirai profondamente, ad occhi chiusi, tentando di tranquillizzare il battito del mio cuore.

«Volevamo farti una sorpresa, ma a giudicare dal tuo stato, non è stata una buona idea» sghignazzò Bless, cercando di stemperare la situazione.

«Come, come facevate a sapere dove abito?» domandai con circospezione, arrivando dritta al sodo. Ignorai totalmente la sua dichiarazione, mi sollevai col busto e drizzai le orecchie, curiosa di conoscere la verità.

«La pizza...» la sua bocca carnosa s'increspò verso l'alto; brillò una smorfia divertita.

«La pizza?» aggrottai la fronte, confusa, mentre loro si scambiarono uno sguardo complice.

«Ti ho mandato un messaggio per chiederti di consigliarmi una pizzeria, tu mi hai suggerito proprio quella vicina casa tua...»

«Così ho cercato su Google il nome del locale e sono facilmente risalito all'indirizzo, abbiamo preso la macchina e siamo subito andati lì» aggiunse Trevor.

«Il pizzaiolo, Edward...oh, no, aspetta...ehm, quale era il suo nome?» domandò Bless, puntellandosi il mento con le dita, come se quel semplice gesto potesse aiutarla a ricordare meglio. «Ah, Eddie, mi ha gentilmente fornito le indicazioni verso la tua casa» aggiunse, sfoggiando entusiasta il suo splendente sorriso.

Eddie?

Sperai di aver sentito male.

«Un momento, cosa? È stato lui a dirti dove abito?» chiesi sconvolta; la mascella tesa a mezz'aria.

«Già...» fu la sua risposta ed io rimasi senza parole. Mentalmente, mi ritrovai a maledirlo in cinque lingue diverse. Come diavolo si era permesso di fornire il mio indirizzo privato a quelli che, ai suoi occhi, erano dei perfetti sconosciuti? Gli era dato di volta il cervello?

La versione migliore di teWhere stories live. Discover now