9. Luna spenta

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Orientandomi nella penombra, cercai di ricordare dove fosse l'interruttore per accendere la luce. Quando lo trovai, raggiungendolo con le dita tremule, l'accesi, poi mi appoggiai con la schiena al legno nobile della porta di casa. Respirai profondamente il silenzio che albergava nella stanza e, ancora scossa da tutto ciò che era accaduto quella sera, mi accasciai a terra. Ero stanca e sconvolta insieme, così piegai il mio corpo alla volontà delle mie sensazioni.

Assurde. Totalizzanti. Ma soprattutto confuse.

Non seppi dire con certezza quanto tempo trascorsi in quella posizione, tipica di chi come me stava disperatamente cercando di proteggersi dai suoi stessi sentimenti. Rannicchiata sulle gambe, parevo un piccolo cervo indifeso. Ero immobile, pietrificata dal rumore del mio cuore che premeva potente contro la cassa toracica, facendo vibrare l'aria di un suono discorde che le mie orecchie non erano più abituate ad ascoltare. Era così strano udirlo, poiché era vigoroso, forte, più assordante di un assolo di chitarra elettrica ma, al contempo, delicato, deciso come il soffio leggero del vento. Negli anni mi ero persino dimenticata cosa significasse riuscire a sentirsi o, meglio, riuscire a percepirsi vivi.

Lo scalpitio frenetico dei battiti che mi ronzava intorno, mi tempestava la mente di colori antitetici e puntini caotici.

Il nervosismo ansioso che mi attanagliava lo stomaco mi prendeva a pugni fino a farmi chiudere in una morsa di pura commozione.

L'agitazione che mi solleticava le pareti della gola la rendeva secca e arida di parole.

La paura che mi toccava perversa graffiava via certezze e speranze dalla lingua, l'unica e sola arma che mi era rimasta per difendermi dagli altri. Ma che, mio malgrado, non ero riuscita a sguainare decisa contro Cole.

Per un breve istante ripensai a lui, a ciò che quella sera c'eravamo detti, a ciò che c'eravamo rivelati con lo sguardo e lo scoppiettio che avvertivo in mezzo ai seni si fece sempre più concitato.

Una semplice domanda, simile al bagliore di una scintilla, mi illuminò. Era lui a farmi provare quell'arsenale pericoloso di emozioni? Oppure, ero io ad imporre a me stessa di sentire qualcosa di diverso. Qualsiasi cosa che non fosse dolore, rabbia e rancore.

Tentai di rispondere a quel dubbio, aggrappandomi ad ogni impercettibile sensazione che mi bruciava nel petto ad ogni minuto che trascorrevo a ragionare sulla soglia di casa. In un primo momento pensai di aver risolto quel pericoloso quesito, attribuendo la colpa della mia agitazione al mio animo cedevole. Addossai la causa di tutto all'indubbia bellezza di quel ragazzo, tanto dannato quanto maledetto. Con le sue premurose attenzioni mi aveva fatto credere che all'interno del mio cuore, potesse essere nato qualcosa, seppur piccolo, seppur fragile, seppur un non nulla.

Dovetti ricredermi, subito.

Dovetti ricredermi nell'istante preciso in cui la mia mente, bastarda e traditrice, ormai spossata dalle continue insicurezze che continuavo a proiettare, mi palesò davanti agli occhi il profilo perfetto di Seth.

Non era Cole a farmi sentire così.

Non era lui a scuotermi dentro in quella maniera.

Non era lui, mi convinsi sempre di più. Non erano i suoi bellissimi occhi, né le sue mani forti.

Era il ricordo del mio dolore, del mio passato, dei sogni infranti. E la dolcezza con cui aveva pronunciato quel meraviglioso discorso sull'amore eterno tra le stelle e il cielo, aveva riportato alla luce tutto.

Parole importanti, profonde che il suo sguardo mi aveva cucito addosso così duramente che non sarei mai stata in grado di strapparle via, neanche se fossi stata dotata degli artigli più affilati.

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