ninety-eight

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ALEX'S POV

Posizionai gli auricolari perfettamente al loro posto, il microfono sull'asta e i piedi ben saldi sul pavimento lucido. Mi venne fatto cenno con la testa di aspettare un momento, dopodiché la base del mio inedito partì. Le prove generali si sarebbero tenute tra giorni, quindi non capii esattamente il perché di quest'anticipazione. Probabilmente perché, essendo la finale, avremmo dovuto prepararci meglio. Ma quando sentii una voce maschile rimbombare per lo studio, capii che non ero affatto sottoposto a delle semplici prove. Mi guardai alle spalle e il mio cuore sussultò. Una foto gigante allo schermo ritraeva me e il mio migliore amico Stefano, qualche anno fa. Calai la testa all'indietro, ridendo nervosamente, in modo imbarazzato, sorpreso. Iniziò a parlare, la sua voce registrata, raccontando alcuni aneddoti sul nostro passato e la nostra amicizia. Ci siamo conosciuti undici anni fa, condividendo ogni singolo momento insieme. Tra uno scambio di pensieri, consigli, sfoghi. Stefano è sempre stato lì per me, così come io ho fatto per lui. Al mio diciottesimo compleanno ha avuto il coraggio di partire per l'Inghilterra, solamente per poter trascorrere quel giorno con me sapendo che, altrimenti, sarei stato solo. No che non avessi amici in quella nuova città, ma quelli con cui ho legato maggiormente si trovavano proprio lì in Italia. Proprio non riuscivo a crederci che una persona così importante adesso si trovasse qui, dove io stavo costruendo un sogno. Un sogno che lui ha sempre promosso, volendo che andassi fino in fondo affinché lo realizzassi.
«Hai sorriso. Quindi, ti sono mancato?» domandò retorico, sorridendomi con i suoi occhi azzurri.
Risi, incapace di parlare o di dire qualcosa di sensato. La mia mente era in confusione, il cuore batteva forte dall'emozione. Iniziammo a prenderci in giro a vicenda: riguardo al taglio dei suoi capelli, il borsello regalatomi da mio padre - il quale voleva che portassi sempre dietro - gli occhiali che avevo sul naso e i boxer bianchi che fuoriuscivano dai jeans. Quella foto era davvero esilarante, ma lo ringraziai di aver scelto questa e non altre, oggettivamente peggiori.
«Ti ricordi quando mi parlavi di questo programma come un qualcosa di impossibile?» mi chiese.
Annuii. Come potrei dimenticarlo, era il mio passatempo principale quando avevo tempo libero di guardarlo. Seduto sul divano in salotto di casa mia, accanto a mia sorella e il ronzio nelle orecchie della sua voce.
«Dovresti provare con i casting, Ale. Sei bravo e sicuramente ti prenderanno» mi disse, una sera di ottobre, circa un anno fa. Mi recai a Roma senza dirlo a nessuno, fingendo che dovessi incontrare un amico. Fatti i provini, senza alcuna aspettativa, mi recai in hotel. Fu allora che mi richiamarono, esattamente qualche giorno dopo. Quello è stato l'inizio di tutto e la prima persona a cui l'ho riferito è stata proprio Federica. Credo che abbia urlato e gironzolato per casa tutto il giorno, alla notizia. Vedere i miei sogni realizzarsi, la rendevano felice. Così come rendevano felice Stefano, che continuava a fissarmi come se si stesse accertando che fossi davvero lì.
«Lo sai che ti stimo tanto, vero?»
«Lo so» gli risposi, avvicinandomi al plexiglass.
Non lo avrei detto, non avrei esternato i miei desideri, ma avrei tanto voluto abbracciarlo in quel momento. Gli dovevo tanto. Così, di getto, decisi di cantargli il mio pezzo. Lui, però, timido, si sarebbe limitato ad ascoltarmi. Sapevo che, se fossimo stati soli, in un'altra circostanza, si sarebbe dato alla pazza gioia. Avrei fatto lo stesso qualche mese fa. Certo, non che adesso faccia acrobazie sul palco, ma credo di aver scalato quel gradino di timidezza e aver mostrato una piccola parte di me attraverso i movimenti del mio corpo.
«Te lo aspettavi?» gli chiesi.
«Che saresti giunto fin qui? O che mi avresti dedicato una canzone?» disse, marcando la sua modestia nella seconda domanda.
Feci spallucce, alludendo che ad entrambe le domande mi sarebbe piaciuto sentirne la risposta.
«Sono cresciuto ascoltandoti cantare. Saperti qui è solamente il primo passo di un lungo percorso, che ti aspetta qui fuori, lo sai. Mi sarei aspettato di tutto da te. A prescindere da qualunque strada avresti scelto, la musica ti avrebbe portato ovunque. Perché vali. Perché sei davvero bravo, Ale. Spesso tendevi a chiuderti in camera, abbattendoti, non riuscivi più a credere in te. Sono venuto lì, mi hai aperto la porta, e mi hai fatto leggere una delle tue tante bozze. Ed hai visto cos'è successo? Dove sei arrivato? Dove è arrivata quella bozza?» mi guardò e, se avesse potuto, ad ogni domanda avrebbe avanzato di un passo.
Sospirai.
Sapevo dove fosse giunta quella bozza: contenuta in un plexiglass di vetro e un bollino oro, appoggiata sul davanzale della stanza delle gradinate. È stato il primo a cui avessi fatto ascoltare Sogni al cielo, ed è stato l'unico a non ritenere strana la mia arte.
«Grazie, Stefano» sussurrai.
«Non devi ringraziare me. Sono il tuo migliore amico, ho dovere di starti vicino. Tutto questo l'hai creato tu. Ne sei l'artefice, il responsabile, l'artista. Dovresti apprezzare in primis te stesso, al resto ci pensiamo poi» disse.
Feci un mezzo sorriso. Non era la prima volta che qualcuno me lo dicesse.
«Ora devo andare» mormorò.
Alzai gli occhi sulla sua figura, stringendomi nelle spalle. Non avrei voluto che andasse via.
«Ci incontriamo questa sera?» scherzò.
«Alle otto e mezza?»
Ridacchiò, scuotendo la testa divertito. Poggiò una mano sul muro in plastica, avvisandomi che presto tutto sarebbe tornato normale.
«Ci vediamo presto. Ho bisogno di liberare la mente e di svagarmi. E tu sei la compagnia perfetta. Poi- beh, se vuoi, potrai portare anche lei» mormorò.
«Stefano-»
«Sono curioso di conoscerla» mi anticipò; «sembra davvero una brava ragazza. E saperti felice con lei, spensierato, libero, leggero.. me lo conferma».
Non credo mai che i miei amici mi abbiano visto in quel modo, con una ragazza. Sapevano quanto fossi stato sfortunato in passato.
V. era l'antidoto ad ogni ogni problema. Lo avrebbero scoperto. E una parte di me era contenta che volessero fare la sua conoscenza. Avrei fatto il possibile pur di avvicinarla ancor di più al mio mondo.
«Va bene» sospirai.
«Va bene» sorrise, ripetendo le mie stesse parole con più convinzione, per poi uscire dallo studio con il mio sguardo addosso.

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora