17 - My only rival is within

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"L'indifferenza era una barriera che mi proteggeva dai nemici che tentavano di abbattermi."

Amon Le Savage

Una volta uscito dalla stanza, decisi di andarmene direttamente fuori dalla nostra proprietà

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Una volta uscito dalla stanza, decisi di andarmene direttamente fuori dalla nostra proprietà. Avevo bisogno di starmene in pace, senza un fratello irritante e una ragazzina disobbediente intorno. Volevo isolarmi e stare per le mie. Percorsi il corridoio che portava alle scalinate gemelle a grandi e rapide falcate. Scesi al piano terra, e affrettai la camminata ulteriormente. Appena mi avvicinai al portone in mogano, qualcuno suonò il campanello e la solita melodia inquietante mi sconquassò le orecchie. Ero già parecchio infastidito e ne ignoravo tuttora il motivo... chi mai era adesso?!

Aprii il portone e mi ritrovai davanti a me Katniss. La guardai di sfuggita. Poi realizzai che non dovevo mostrare il mio stato emotivo alterato per motivi ignari persino a me stesso, e di conseguenza, mi mostrai come al solito: indifferente. L'indifferenza era una barriera che mi proteggeva dai nemici che tentavano di abbattermi. Ma abbassare le difese poteva essere ancora più letale in casi come questi, perché avevo fin troppo da difendere.

«Amon», pronunciò Katniss, esordendo con tono calmo e rilassato. Le sorrisi lievemente.
«Katniss... cosa ti porta qui?». Analizzai le sue espressioni facciali. Aveva la mascella serrata, tesa. Era apparentemente rilassata ma la realtà era ben altra. Sotto sotto c'era qualcosa che le alterava l'umore e lo rendeva inquieto.
«Ecco, io...», balbettò, confusa e riluttante. Non sapeva come esporre quello che la preoccupava. Con me lei non aveva mai finto di essere un pezzo di ghiaccio. Si era mostrata per una donna forte ma con le sue debolezze. Tutto il contrario della sua gemella Katherin. La gemella di Katniss era gelida come la morte, se non peggiore. Un suo sguardo era sufficiente per ammazzare un umano facilmente impressionabile. Ognuno di noi aveva un potere oscuro che si generava dalla magia oscura donataci dai nostri creatori. La magia oscura era ben diversa dalla magia nera, quella nera era in più. Quella oscura scorreva nelle nostre vene, come il sangue scorreva nelle vene degli umani. Noi eravamo inondati di sangue nero. Il sangue del potere. L'oscurità era potere, più né avevi più divenivi potente.

«Parla. Non abbiamo segreti tra di noi, no?». Bugia. Mi ero mostrato debole solo due volte ed entrambe erano state architettate in largo anticipo solamente per creare questa regola. Non avere segreti tra di noi. Io ero il peggiore, quello con più segreti. Ma qualcuno doveva portare questo peso. E preferivo accollarmi io stesso questo macigno pesantissimo.
«Lo so. È che...», si interruppe e poi proseguì con una frase che sembrò trapassarmi il petto.
«Ho sognato Grace». Sbarrai gli occhi, mi mostrai indifferente anche se sentire quel nome mi provocava un asfissiante senso di oppressione. Di malessere. Mi faceva rivivere quel periodo. E la furia di Graylord. Mi odiava per quello che era successo. Grace era... soltanto un mero ricordo oramai. Tuttavia, ora sbucava fuori qualcos'altro che riportava a lei. A quella ragazza debole, troppo inadatta a sopportare questo inferno.
«E cosa stai cercando di dire con questo?». Dovevo capirci qualcosa, e lei doveva parlarne in maniera migliore e analizzabile di così.
«Che dobbiamo stare in guardia, ha detto delle parole che mi hanno turbata...». Abbassò il viso e gli occhi, fuggendo dal mio sguardo inquisitore. Mi avvicinai ancora più a lei.
«Andiamo nel mio studio, questo non è il luogo idoneo a codesta conversazione». Chiusi la porta e poi camminai in direzione delle scalinate, conducendo Katniss nonostante sapesse già dov'era situato lo studio.

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