Oggi c'è Primo

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A quanto pare, l'esibizione di Airel la settimana scorsa ha causato... qualche problemino. All'inizio stava andando tutto alla grande, ma a un certo punto uno dei clienti l'ha chiamata "signore" per sbaglio e lei ha subito perso la pazienza: una volta scesa dal palchetto ha afferrato quel tizio per le orecchie e lo ha scaraventato contro il jukebox, poi mi ha restituito i soldi che le avevo dato io mentre mi ripeteva che "nessuno deve sapere". In tutto questo trambusto non ho capito bene di cosa stesse parlando, ma considerato il bel baccano che ha fatto lei non credo che la cosa passerà inosservata. Soprattutto perché dobbiamo ancora sistemare il jukebox...

L'altro giorno avevo chiamato due tecnici per sistemare quell'aggeggio, ma non credo che abbiano un buon lavoro. Prima di tutto si sono messi ad armeggiare con i dischi per mezz'ora, poi li hanno rimessi lì dentro, hanno rimontato tutta la scocca esterna della macchina e se ne sono andati. Menomale che oggi è arrivato qualcuno che vuole sistemare le cose per davvero: diamo il benvenuto a Primo Joyce! 

Lui entra nel bar a piccoli passi, si guarda attorno molto attentamente, forse nel tentativo di analizzare il luogo. Ho sentito parlare di lui, un bravo ragazzo, ma me lo immaginavo un po' diverso: non ha l'aria da sapientone o da snob come me l'ero immaginato, direi che vuole semplicemente essere lasciato stare. I suoi occhi brillano di un blu cielo, come a rappresentare la sua immensa curiosità; persino la sua giacca in denim è più o meno dello stesso colore.

Comunque, lui arriva davanti al bancone. "Deve essere quello laggiù in fondo."

Mi rendo conto che sta parlando del jukebox. "Certo, proprio quello!" gli rispondo io, "È una lunga storia, ma credi che sia possibile aggiustarlo?"

"Dipende da qual è il tipo di danni di cui stiamo parlando" risponde lui. Il suo tono non è molto vivace o espressivo, sembra di stare ad ascoltare un call center. Lui però non sembra farci molto caso. Apre una grossa tasca interna della sua giacca, ne estrae un tablet e lo accende. 

Lì sul momento non capisco che cosa vuole fare, ma poi il ragazzo rivela il suo piano: "Gear, consegnami la mia valigetta degli attrezzi a questo indirizzo: Evergreen Street 22, Bar Prodigy, piano terra. Segui il percorso più breve."

Dal tablet parte una voce robotica: "Durata stimata: 2 minuti. Attendere, prego."

Il ragazzo rimette il tablet nella giacca e si mette a guardare il soffitto. 

"Sembri un ragazzo parecchio sveglio!" lo complimento io, "da dove vieni?"

"Nato e cresciuto a New York." mi risponde lui. È come se si sentisse in colpa per aver risposto.

Io però non voglio farlo dispiacere. "New York? Bel posto, ho sentito. Un bel po' lontano da qui, però. Come ci sei arrivato in questa città?"

Primo sta dondolando i piedi, ogni tanto prova a guardarmi negli occhi ma finisce sempre per distogliere lo sguardo. "Non ne voglio parlare. Non con uno sconosciuto."

Io sono sempre stato un tipo parecchio estroverso, quasi sicuramente è il motivo per cui adoro il mio lavoro: parlare con tanti tipi di persone diverse, scoprire chi sono davvero e da dove vengono, vedere e sentire le loro emozioni rende i miei clienti molto più di persone che entrano nel mio bar e mi danno soldi, ma...  capisco anche che le persone hanno bisogno di privacy.

Il tablet di Primo fa uno squillo. A quanto pare il suo Gear - qualunque cosa sia - è appena arrivato. Il ragazzo scende dallo sgabello e va tranquillo verso la porta principale. Rientra in poco tempo con la sua cassetta degli attrezzi e una sorta di strano drone volante a sei rotori, così grande che Primo deve portarselo sulle spalle. Per un momento lui guarda dentro la valigetta per assicurarsi che tutto sia intatto, poi poggia il suo drone su un tavolino circolare e torna a esaminare il jukebox.

I Portatori Di MiracoliWhere stories live. Discover now