1. Come un principe (I)

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Camminava a passo svelto, di cattivo umore come spesso gli capitava.

Mentre attraversava i corridoi della sua vasta villa, si imbatté in un uomo che, ignaro della sua presenza, apportando gli ultimi ritocchi a una composizione floreale finì per frustargli la spalla con una lunga foglia di dracena.

«Fa' un po' di attenzione, razza di imbranato!» Sbottò lui, senza nemmeno pensarci.

L'operaio si voltò: doveva avere tra i cinquanta e i sessant'anni; i capelli, unti e sporchi, erano tutti in disordine; la salopette lisa e consunta era rattoppata in certi punti e strappata in altri, e la metà sinistra del volto era orrendamente sfigurata.

Il giovane non fece alcun tentativo di dissimulare il disgusto che gli suscitava quella vista, nemmeno mentre l'operaio si scusava sfoggiando un gran sorriso, nel tentativo di rabbonirlo.   
Talvolta, non bastano i racconti con la morale, l'esempio dei genitori, i consigli dei tutori, gli insegnamenti della storia e, perfino, i dettami morali che politica e religione ci impongono.
Può capitare che una persona sia arrogante, scostante, antipatica e ineducata; più per pura abitudine che per scelta consapevole.

Era questo il caso di Nathan Flynn, giovane rampollo di una delle famiglie più ricche di Eurasia2. Nonostante fosse cresciuto nel lusso e negli agi, o forse proprio a causa di questo, il ragazzo era in grado di rendersi sgradevole a chiunque fin dal primo scambio di battute.

"Se non hai niente di gentile da dire, non dire niente." Soleva ripetergli sua madre.

Ma lei non c'era più, e Nathan aveva finito col trincerarsi dietro a un muro di aggressività e maleducazione. Aveva iniziato soltanto per sfogare la rabbia che provava e nascondere i suoi veri sentimenti, ma presto era diventata un'abitudine, in modo simile a chi comincia a fumare per pura curiosità e ad un certo punto scopre di non poterne più fare a meno.

Non era sempre stato così, rimugino tra sé. Sì, tutto sommato le persone l'avevano sempre infastidito, e niente era riuscito a fargli passare quell'atteggiamento spocchioso. Ma la madre, che stravedeva per lui, non aveva mai smesso di lavorare per portare alla luce il suo lato migliore.
Era stata una donna meravigliosa, solare e ottimista.
Quando se n'era andata, era come se si fosse portata con sé una parte del figlio.
La parte migliore, secondo alcuni, anche se nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce.

Il giovane era diventato intrattabile, ancora più arrabbiato del solito. Non c'era nessuno con cui prendersela, dato che il male che l'aveva privato della madre era incorporeo; così, il ragazzo aveva finito con lo sfogare il suo furore su chiunque avesse la sventura di capitargli a tiro.

Ruolo che ora toccava al malcapitato operaio.

«Comunque, non mi sembra il caso di prendersela tanto: in fondo, non può avervi fatto così male, o sbaglio?» ebbe la sfrontatezza di osservare costui.
«E se mi fosse arrivata nell'occhio? Ma sai chi sono io, almeno?» Squittì Nathan, con voce resa stridula dall'emozione.
L'altro si strinse nelle spalle e, voltatosi, riprese a dedicarsi al proprio lavoro.
Nathan ristette ancora per un attimo lì, in piedi, fremente di rabbia. Avrebbe voluto urlargli in faccia che era il padrone di casa, quello che l'avrebbe pagato per il suo lavoro, e che poteva farlo cacciare dagli androidi di servizio semplicemente schioccando le dita.

Alla fine, però, se ne andò senza una parola. Si sarebbe sentito ridicolo a insistere, ma in cuor suo il fatto che il suo interlocutore avesse interrotto la conversazione, privandolo della soddisfazione di vincere quel duello verbale, lo faceva adirare ancora di più.

Proprio come gli succedeva sempre con il padre, che concludeva le loro discussioni andandosene, senza mai dire nulla.
Il rapporto con il genitore, già quasi inesistente prima del lutto, aveva finito con l'esasperarsi ulteriormente, al punto che ormai i due quasi non si rivolgevano parola.
Perfino ora che aveva dato una grande festa in suo onore, non riusciva a pensare a lui con affetto o riconoscenza.

Si sentiva in colpa per questo? Certo che no!

Era davvero così? Dannazione!

Possibile che in tutto quel tempo, al genitore non fosse mai venuto in mente di parlargli, di cercare di capire dov'era il problema, quale fosse il motivo del suo comportamento?

L'indifferenza che gli riservava lo faceva andare su tutte le furie.

La verità era che al padre importava solo di sé stesso: era facile che, anche per quell'evento, l'uomo avesse dei motivi tutt'altro che altruistici.

Quasi fosse stato evocato dai suoi pensieri, gli apparve davanti, all'ingresso della grande sala da ballo.

Secondo molti, il più grande successo di Edgard Flynn era stato il matrimonio con l'ereditiera Judith Mayer. La verità, però, era che il giovane industriale aveva saputo fare buon uso dell'ingente patrimonio messo a sua disposizione, moltiplicandolo con scelte oculate, tra l'acquisizione di nuove aziende, l'ottimizzazione di ogni processo delle esistenti, e il consolidamento dei rapporti commerciali con l'esterno.
Stava conversando amabilmente con una coppia di invitati ma, quando lo riconobbe, la sua espressione si indurì: congedatosi in gran fretta, lo raggiunse e gli puntò contro un indice ammonitore.
«Questa è la tua ultima occasione, bamboccio.» Esordì, in un tono che non ammetteva repliche. «Ho selezionato personalmente gli invitati di oggi. Ognuno di loro ha le carte in regola per portare avanti il nostro impero commerciale, e assicurarmi la vecchiaia agiata che mi merito.»

Nathan sbuffò, roteando gli occhi. «Io non voglio nessuno. Perché questa farsa?»

«Perché io non possiedo nemmeno i vestiti che indosso!» ruggì Edgard. Rendendosi conto che aveva alzato il tono, si guardò intorno, imbarazzato. Quindi riprese, a voce più bassa: «Ne abbiamo già discusso: tua madre ha lasciato tutto a te, estromettendomi dalle società, con tanto di clausole di garanzia per evitare che io possa riprendere il controllo. Considerato però che, da solo, non sei capace nemmeno di soffiarti il naso; se vogliamo assicurarci un futuro, questo è l'unico modo.» Si sforzò di atteggiare la bocca in un sorriso rassicurante, ma era così teso che riuscì solo a produrre un ghigno. «Nomina qualcuno che possa garantirti lo stile di vita a cui sei abituato. È la cosa migliore anche per te, non ti pare?»

«Mamma voleva che l'azienda restasse in famiglia.» obiettò il giovane.

Edgard avvampò, incapace di trattenersi. «Allora avrebbe dovuto permettermi di istruirti. Invece, ti ha insegnato solo a spendere i soldi, non a guadagnarli!»
«Non parlare così di lei!» scattò Nathan.
«Datti una regolata, mentecatto!» lo rimbeccò il genitore. «Qui non si tratta di Judith, ma di te! Scegli un amministratore entro oggi, o te ne pentirai!»
Lui lo provocò, soffiando fuori un moto di scherno. «Davvero? E cosa intendi fare, chiudermi in camera mia? Non ho dodici anni!»
«Potresti averne quattro, per i capricci che fai!»

Un signore distinto in smoking, con una vistosa gobba in prossimità della spalla destra, li salutò, costringendoli a interrompersi per accoglierlo.

Grato per quel diversivo, Nathan ne approfittò per cercare di sgattaiolare via, ma il genitore lo agguantò per un braccio.
«Non ti permetterò di rovinarmi.» Gli sibilò all'orecchio, stringendo le dita tanto da fargli male. Nathan non volle dargli la soddisfazione di gemere, quindi, dopo averlo guardato in cagnesco per un lungo istante, Edgard lo lasciò andare e, con una spintarella, lo indirizzò verso la grande sala. «Non distruggerai il lavoro di tutta la mia vita.» concluse.

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora