10. Infezione (I)

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«Se per te va bene, fratellino, vorrei collegarmi alla rete per scaricare tutte le informazioni su quello che hai fatto fino ad oggi... E magari una guida su come migliorare il rendimento di questo kevlasol mezzo distrutto.»

Nathan si limitò ad annuire, ancora troppo emozionato per poter riflettere in modo lucido su come quella potesse non essere una grande mossa, per qualcuno che non voleva farsi trovare. Dopo una manciata di secondi, Bubi fischiettò in modo malinconico. «Anche se può sembrare strano, non c'è nessuna copertura di rete. Che ci sia un guasto?»

«No, è perché non siamo a casa: ci troviamo nella città-discarica.»

«Credo che tu abbia una storia interessante da raccontare.» Commentò l'androide. «Ad ogni modo, secondo il mio database, anche qui sotto dovrebbero esserci dei ripetitori. O sono occorsi fatti di cui sono all'oscuro mentre ero in stand-by, oppure la nostra attuale posizione deve essere assai periferica.»

«Senti...» l'umano tossì, vagamente a disagio nell'affrontare il nuovo argomento. «Mi... mi dispiace di averti abbandonato.»

La tata cibernetica simulò una risatina. «Non devi preoccuparti. L'affermazione di sé è un passo importante nella crescita di un essere umano... E, da quel che posso vedere, sei diventato un magnifico adulto. Sono orgoglioso di te, e scommetto che, quando avrò saputo tutto il resto, lo sarò ancora di più!»

Era troppo per Nathan. Le gambe gli cedettero, e crollò in ginocchio nella terra arida e sabbiosa, colto da singhiozzi così violenti che parevano spezzarlo in due.

Per tutta la vita non aveva desiderato altro che sentirsi dire quelle quattro semplici parole dal suo gelido genitore. Scoprire che perfino l'organismo artificiale che aveva chiuso in uno sgabuzzino e condannato alla solitudine, lo amava e credeva in lui più del padre biologico, lo fece stare male come mai prima di allora.

Bubi gli si fece incontro e lo circondò col braccio rimasto, battendogli leggermente la mano sulla spalla.
«Che ne sai? Potrei aver fatto cose terribili! Non sono una bella persona.»
«Conosco il bambino che eri: non puoi essere diventato così male come dici. Fidati: in fondo, sono pur sempre tuo fratello, no?»

Quella frase rese il pianto del ragazzo ancora più dirotto e isterico.

Ormai incapace di spiccicare parola, Nathan si abbandonò contro il corpo del robot, che prese a cullarlo dolcemente, fischiettando una ninna nanna. Distrattamente, il rampollo di casa Mayer pensò che quel freddo metallo sapeva trasmettere più calore di certi esseri umani.

***

Più tardi, ripresosi dalla crisi di pianto, trovò un ombrellone sforacchiato sotto alla tettoia dove venivano riposti gli attrezzi, e vi passò sotto il resto del pomeriggio a conversare con Bubi, cercando di raccontargli tutto quello che quest'ultimo si era perso durante il suo lungo sonno.

Era così bello potersi raccontare a qualcuno senza filtri e senza maschere, senza temere di essere fraintesi o mal giudicati, che il giovane si dimenticò di tutto il resto: dei pericoli, del tempo che passava, perfino del caldo, nonostante la sua balia meccanica – ancora sotto carica – gli ricordasse con una certa frequenza che avrebbe dovuto interrompersi per bere, e di come l'idratazione fosse importante in quel clima torrido e secco.

Nathan fu colto dalla malinconia: più sciorinava aneddoti sulla sua vita, più quest'ultima gli appariva frivola, vuota e priva di significato. Anche se il robot non smetteva mai di incoraggiarlo e trovava sempre motivazioni e giustificazioni per ogni cosa, il giovane aveva l'impressione che la sua intera esistenza non fosse stata altro che uno spreco di tempo, il risultato di scelte fatte da altri, talvolta imposte con l'autorità, altre volte rese allettanti e desiderabili tramite la manipolazione.

BAZZA DI TORDO 2172Where stories live. Discover now