15. Un aiuto (di)sperato (III)

122 19 23
                                    

Quando la raggiunse, fu colpito soprattutto dall'oscurità: a differenza di quella in cui vivevano, quell'abitazione non aveva alcuna finestra; l'unica fonte luminosa era data dallo specchio della porta, e dagli spifferi che non erano coperti dalla plastica. L'ambiente interno era pulito e ordinato, tanto quanto può esserlo un ambiente di meno di venti metri quadrati in cui vivono più persone.

Al posto dei mobili c'erano delle casse di legno accatastate lungo una parete, l'unico tavolo era stato costruito inchiodando una lastra di policarbonato al ceppo di un albero; non c'erano letti, e il materasso su cui stava la degente era stato steso direttamente sul pavimento. La parete di fondo era fatta di terra battuta, forse il residuo di qualche vecchio argine; dalla fessura tra il tetto e quel terrapieno filtrava una debole corrente d'aria, attratta dalla porta aperta. L'atmosfera era soffocante: oltre al caldo terribile e a un'umidità tanto intensa da poter essere percepita sulla pelle come sensazione di bagnato, c'era un odore nauseante, vagamente dolciastro, che il giovane non seppe identificare.

Di certo, non era un luogo che potesse rendere più sopportabile la malattia.

La paziente si agitava nel giaciglio in preda a terribili fitte, rannicchiata in posizione fetale, e continuava a rotolare sulla schiena, passando da un fianco all'altro. Il respiro le usciva in sibili incostanti e, di tanto in tanto, veniva scossa da violenti attacchi di tosse.

Non c'era possibilità di sbagliare diagnosi, a causa degli aloni color indaco che già chiazzavano le membra magrissime della poveretta.

Allison le si inginocchiò accanto e cominciò a parlarle, accarezzandole la fronte.
La mascherina impediva di scorgere anche quel poco che le garze solitamente lasciavano scoperto, ma Nathan era certo che stesse sorridendo.

La donna non doveva avere più di trent'anni, anche se una vita di privazioni, e la sofferenza che stava provando, la facevano apparire molto più vecchia.

Allison seguitò a rivolgersi a lei col tono di chi vuole tranquillizzare un animale spaventato e, piano piano, l'ammalata in effetti si acquietò.
Le chiese allora il permesso di prelevare dei campioni e, dopo averlo ricevuto, tirò fuori dalla sua borsa un analizzatore portatile, e lo usò per raccogliere piccole quantità di sangue, saliva, muco e pelle.

Come aveva fatto un abitante della città-discarica a procurarsi uno strumento tanto sofisticato?
La solennità del momento era tale che Nathan si sforzò di mettere a tacere la propria diffidenza, dalla quale scaturivano domande destinate perlopiù a restare senza risposta.

«Davvero non puoi fare nulla per aiutarmi?»
«Sai che non posso.» replicò l'altra. «Ma forse sarai tu ad aiutarci. Dobbiamo sperare che il tuo corpo riveli il segreto che ci salverà tutti.»
«Mi basterebbe che potesse salvare i miei figli!» Esclamò la sventurata, afferrando la mano di colei che la stava assistendo con la propria, deturpata da vistosi aloni bluastri.
Nathan inorridì a quel gesto, Allison invece non solo non fece una piega, ma poggiò anche il palmo dell'altra sopra a quello della moribonda, stringendola con calore.

«Grazie.» Mormorò quella, a voce così bassa che, d'istinto, il giovane – che era rimasto presso l'ingresso – vinse la propria ritrosia e fece un paio di passi in avanti, pur di ascoltare.
«Non ci sono parole per descrivere ciò che fai: sei l'angelo dei bassifondi. L'unica a cui interessi la sorte dei derelitti come noi.»

Rimasero a lungo in silenzio, cristallizzate in quella posizione.

«Non puoi darmi nulla nemmeno per il dolore?»
«Mi dispiace.» rispose Allison, con semplicità. Per un attimo, la voce le si era spezzata, e Nathan pensò che fosse sul punto di mettersi a piangere. Di certo, però, quella non era la prima volta che la ragazza viveva una situazione del genere: fu lesta a riprendersi e, interrotto il contatto con la degente, si rialzò in piedi.
«Posso rimanere a farti compagnia, se lo desideri.» Propose poi, quasi si fosse pentita di aver rovinato a quel modo il momento.
«Ci penserà mio marito. Tu hai cose ben più importanti, da fare.»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora