23. Ritorno a Eurasia-2

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Rimasero a fissarsi in silenzio per un tempo che parve infinito.

L'ascensore raggiunse la meta e si fermò; le porte cominciarono ad aprirsi, ma Nathan, balzato in piedi, disinserì la corrente tramite un comando di emergenza, bloccandole a metà.

«Cosa significa?» domandò, in un soffio. Si sentiva vuoto, stranito. Aveva avvolto la sua corda di sicurezza intorno a uno scoglio, e ora scopriva che si era trattato, invece, di una nuvola scura, e di essere di nuovo in balia della corrente e della burrasca.

«Mi hai preso in giro? Per tutto questo tempo!»

Lei scosse la testa. «No. Non è così.» Le lacrime le rigavano le guance, ma non se ne diede pena e lo fronteggiò, senza distogliere lo sguardo.
Invece doveva esserlo, per forza. «Cos'è stato per te, un gioco? Anzi, no: una vendetta! Una sofisticata vendetta per come ti ho umiliato alla festa!»

Poteva davvero biasimarla, in quel caso?

«Alla festa hai umiliato solo te stesso!» ritorse lei.

Il fatto che, anziché implorare il suo perdono, lei gli rispondesse a tono, lo fece andare su tutte le furie. «Come hai potuto farmi una cosa simile!» sbraitò. «Avresti potuto riportarmi su in qualsiasi momento! E invece tu... tu... mi hai costretto a bere l'interno di una lumaca!» concluse, come se si trattasse di un reato imperdonabile, della sua più grande colpa.

«Costretto?» replicò la donna. «Io non ti ho...» si interruppe, rendendosi conto che quella conversazione non li avrebbe portati da nessuna parte. Si schiarì la gola e, in tono più calmo, propose: «Se sei disposto ad ascoltare la mia versione, te la dirò. Se preferisci saltare alle conclusioni come tuo solito, vai pure: prosegui da solo il tuo viaggio.»
 «Sarebbe tutto qui, per te?» piagnucolò Nathan, tradito come sempre dalla sua voce trasparente. «Mi diresti soltanto "vai per la tua strada"? Sarebbe semplice come cambiare un androide?»

Lei scosse la testa. «Le tue parole sono lame che fanno sanguinare il cuore delle persone, Nate. Dovresti imparare a tirarle fuori dal fodero solo quando ce n'è davvero bisogno.»

«E credi che non ce ne sia, con chi mi ha ingannato in questo modo?»
«Credo che, in questo momento, tu non sappia ancora se ce n'è bisogno o meno.»

Aveva ragione.

Solo poche ore prima, si era compiaciuto tra sé e sé per come fosse cambiato, per i progressi che aveva fatto, per come fosse diventato una persona migliore.
E adesso? Chi era lui, per condannare senza processo l'unica che si fosse mai realmente preoccupata del suo benessere, dopo la morte di sua madre?
S'impose di calmarsi. Respirò a fondo, si sedette di fronte a lei, e attese che il nuovo attacco di tosse che l'aveva colta si placasse.

«Ti ascolto.» disse, in tono più ragionevole. «E, qualunque cosa sia ciò che stai per dirmi, al termine ti curerò. Perché, come hai detto tu stessa, nessuno merita di morire così.»

Lei fremette, strizzò forte le palpebre per riordinare le idee, quindi cominciò a raccontare.

«Non ti ho mai mentito. Ho omesso delle verità, forse, ma le cose che ti ho detto erano tutte vere.» iniziò. Notò che Nathan stava per ribattere, ma lo prevenne. «È vero che, quando ti ho recuperato alla discarica, non ti avevo riconosciuto: eri ridotto in uno stato tale, che nemmeno tua mamma ci sarebbe riuscita. In seguito, quando la tua faccia si è sgonfiata e la tua voce è tornata normale...» esitò, deglutì a fondo, quindi riprese. «All'inizio ero intenzionata a darti una lezione, lo ammetto. Tu eri l'incarnazione di tutto ciò che odio della nostra società: un figlio di papà arrogante e viziato, convinto di poter fare tutto quello che vuole e che tutto gli sia dovuto, solo perché ha avuto la fortuna di nascere nella famiglia "giusta". Senza aver mai fatto nulla in vita sua, per meritare tale privilegio.»

BAZZA DI TORDO 2172Where stories live. Discover now