18. Una brutta sopresa

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Si svegliò provando quella peculiare sensazione di istupidimento tipica di chi è rimasto fin troppo a lungo tra le braccia di Morfeo, cosa che non gli era più capitato di sperimentare da quando era precipitato lungo il gambo della città-fungo.

Si mise a sedere sul letto, sbadigliando e grattandosi la testa.

Dalla porta socchiusa filtrava la luce del giorno. Possibile?
Nathan si alzò e andò sbirciare fuori: il sole era già alto, dovevano essere ormai le dieci, forse perfino le undici. I raggi dell'astro lucente illuminarono la figura raggomitolata in posizione fetale sull'altro giaciglio.

Non era mai capitato che Allison si svegliasse dopo di lui. Grato di quell'occasione, con un largo sorriso il giovane si appropinquò al corpo addormentato e lo scosse leggermente.

«Sveglia, pigrona.» sussurrò con voce gentile «il sole è già alto, abbiamo mancato la raccolta della rugiada.»

Lei si mosse appena, sospirando. «Scusa... Mi sentivo stanca.» Mugugnò, la bocca ancora impastata di sonno. Le bende che le celavano gran parte del volto si erano scomposte, e lasciavano intravedere in più punti la pelle sottostante; perfino in quella luminosità incerta, Nathan poté notare che appariva liscia e chiara, priva di imperfezioni evidenti.

«Ti fai sempre in quattro per tutti, non c'è da stupirsene!» osservò il ragazzo. «Direi che ti sei più che meritata un po' di riposo!»

Fu tentato di accarezzarle la testa; all'ultimo momento però, quando già la punta delle dita le sfiorava i capelli, interruppe il movimento. Non avrebbe rischiato una seconda volta di rovinare tutto: le avrebbe concesso tutto il tempo di cui lei necessitava, invece.

«Alzati, coraggio!» disse, facendo altrettanto. «Preparo io la colazione.»

Ormai aveva acquisito sufficiente dimestichezza con quegli strani cibi.
Mentre si dava da fare, non poté fare a meno di seguire i movimenti della compagna con la coda dell'occhio: la vide rimettersi in piedi, muovere un passo incerto verso il tavolo... E perdere l'equilibrio. Sarebbe certamente caduta, se non avesse trovato la sedia davanti a sé; si aggrappò allo schienale come un naufrago con un salvagente.

Il giovane le fu subito accanto. «Che succede? Stai male?»

«Sono... Solo un po' stanca.» minimizzò lei. Cercò di allontanarlo con una spintarella poco convinta, ma le gambe non la sorreggevano, e fu costretta ad accettare il suo aiuto per tornare a sedersi sul letto.

«Bubi!» Nathan esplorò l'angusto ambiente con lo sguardo: il robottino non si trovava all'interno; doveva essere uscito per ricaricarsi.
«Bubi!» chiamò ancora, a voce più alta.

Meno di un minuto dopo, il corpo metallico della tata cibernetica sbatté con violenza contro il pannello di lamiera che fungeva da porta.

«Perdonate l'attesa, signorino Nathan. Avevo approfittato del vostro riposo per...»
«Alley sta male.» lo interruppe il suo padrone, con un tono in cui lui stesso non si riconosceva. «Esegui immediatamente una scansione completa per cercare di stabilire la causa.»

Le unità AB MK-IV erano equipaggiate con un minuscolo ma potente scanner molecolare di ultima generazione, per consentire loro di valutare lo stato di salute dei loro protetti in caso di emergenza. Il sofisticato cervello positronico, poi, si occupava di discriminare tra la semplice "bua", che poteva essere trattata con un po' di coccole e di conforto, e problemi più seri per i quali era opportuno contattare i genitori, o direttamente le unità di soccorso medico.

Un minuscolo dispositivo simile a una pistola ad acqua fuoriuscì dalla pancia metallica dell'androide. Nel silenzio teso che si era creato, il basso ronzio dell'apparecchio risuonava alle orecchie di Nathan come il clangore di un treno in corsa.

Dopo quella che gli parve un'eternità, finalmente il robot si espresse. «Rilevo un'alterazione generale dello stato di salute. Temperatura corporea a 39.6°C, battiti a 131, pressione sanguigna 170/110, capacità polmonare ridotta del 30%, sudorazione eccessiva. Inoltre, riscontro delle anomalie che potrebbero  essere delle emorragie interne, al momento con versamento ridotto e circoscritto.»

«Qual è la tua diagnosi?» chiese Nathan, al quale il sangue pulsava così forte nelle orecchie, che temeva quasi potesse fuoriuscirne.
«Non sono un'unità medica: per ragioni di sicurezza, il mio programma mi impedisce di fare diagnosi. Posso solo produrre una analisi probabilistica.»
«E quale sarebbe la conclusione più probabile delle tue analisi?» insistette il ragazzo, sforzandosi di rimanere calmo anche se sentiva il desiderio di urlare.

«Secondo i miei calcoli, ci sono l'87,2% di probabilità che la signorina Allison abbia contratto il Morbo Blu.»

Nathan emise un singulto, e dovette sforzarsi di non indietreggiare di colpo, senza peraltro riuscirci del tutto. La malata, invece, appariva serena come se le avessero appena diagnosticato un raffreddore.

«Non preoccuparti, io me la caverò. Mettiti subito la mascherina e vattene. Ormai dovresti essere in grado di badare a te stesso.»
Il suo coinquilino scosse energicamente la testa. «Non ti lascerò qui, scordatelo. Non dopo tutto quello che hai fatto per me.»
«Nate. Ho visto morire abbastanza persone per sapere che non c'è niente che tu possa fare. Né io. Tra poco sarò troppo debole per reggermi in piedi. Ma va bene, non importa: ero consapevole dei rischi, quando ho intrapreso questa avventura.»

Lui si sforzò di soffocare le lacrime. «Non è giusto... non è possibile!»
«La vita stessa è ingiusta. Fattene una ragione.»
«Non resterò qui a guardare mentre muori!»
«Infatti mi sembra di averti detto di andartene!»
«Col cavolo!»

Lei addolcì un po' il tono. Allungò la mano per accarezzargli una guancia, poi si sovvenne del rischio contagio e si fermò. «Ascolta: io non sono di qui. Presto arriveranno i robot guardiani per la disinfezione finale. Mi identificheranno e mi riporteranno a casa. Non devi preoccuparti.»

«A casa?» lui esitò. «Credevo fosse questa la tua... la nostra casa!»
La donna sorrise debolmente. «Non ti ho detto proprio tutto. Ascolta...» ma un terribile accesso di tosse le impedì di proseguire.
Vedendo che stava per crollare, Nathan la aiutò a rimettersi a letto, incurante per una volta di infettarsi a sua volta. «L'altro giorno mi hai detto che una cura esiste. Le nano... qualcosa.»

«Nanomacchine.» confermò lei, sforzandosi di regolarizzare il respiro senza riuscirci. I polmoni reclamavano più ossigeno, ma non erano in grado di trovarlo. Il calore soffocante di quella catapecchia non era certo d'aiuto. «Ma non è qualcosa che chiunque si possa permettere, nemmeno di sopra. Solo i ricchi... e tra loro, solo quelli schifosamente ricchi.»

«Tipo la mia famiglia.»

Allison sgranò gli occhi. «Nate, non farti venire strane idee. Tuo padre ti farebbe sparire prima ancora di essere entrato in un montacarichi!»
«Hai ragione.» accondiscese il giovane, accarezzandole i capelli. «Troveremo una soluzione. Ora riposati.»

Troppo debole per opporre resistenza, la donna si addormentò in meno di un minuto.

Ma a Nathan era bastato ancora meno per prendere la sua decisione.

Lei aveva messo in gioco tutta sé stessa per aiutarlo, senza mai chiedere nulla in cambio.

Ora era il suo turno. Ora finalmente poteva sdebitarsi.

 Ora finalmente poteva sdebitarsi

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SPAZIO AUTORE

Alla fine doveva succedere, no? Ve lo aspettavate? Avevate intuito tutto quando lei si è messa a letto col mal di testa?

Alla fine la terribile malattia ha colpito, e ora la ragazza ha solo una flebile speranza per essere salvata. La cura è efficace solo se somministrata entro poche ore...

BAZZA DI TORDO 2172Where stories live. Discover now