25. Risposte (I)

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Edgard Flynn era riuscito a entrare inosservato dietro di loro, accompagnato da due androidi di modello mai visto: si muovevano grazie a una coppia di cingoli, ma avevano la parte superiore dall'aspetto vagamente umanoide. Al posto delle braccia, però, avevano due mitragliatrici.

«Ciao, papà.»
«Vorrei dirti che è un piacere rivederti, ma sarebbe una bugia.» rispose l'altro, sorridendo.
«Non sarebbe certo la prima che racconti.»
«Sei tornato dall'oltretomba solo per costringermi ad ascoltare di nuovo i tuoi sciocchi moralismi?»
«Sono tornato per smascherarti davanti al mondo intero!»
«Ah!» sbottò il genitore «È di questo che si tratta, dunque.»

«Già.» sperando che lo notasse, fece un gesto a Bubi, per indurlo a procedere comunque con il piano originario. Muovendosi lentamente, fece in modo da impedire la vista alle porte di rete, per lasciarlo libero di lavorare. «Ho scoperto tutto, sul gel e sul Morbo Blu.»

«Ma davvero.»

«Non si tratta di una malattia naturale. Stai avvelenando le persone con qualche porcheria che mischi al disinfettante, che viene elargito gratuitamente agli abitanti della città-discarica.»
«E hai capito tutto da solo?»
«Sorpreso?» senza volerlo, Nathan finì per gonfiare il petto.
«Un po'. Firmavo anche io le tue pagelle, non lo sapevi?»
Nathan si morse la lingua, evitando di insultarlo: non avrebbe risolto nulla, e voleva disperatamente sapere. Voleva la verità. «Quello che non capisco, però, è perché.» ammise.

«Ecco. Questo no, che non mi sorprende.»

«Intendo, perché solo alcuni? E con che logica?»

«Te lo spiegherò, prima di ucciderti. Voglio che ti renda conto, per una volta, di che genio è tuo padre.» Edgard fece un paio di passi verso la finestra e si affacciò, nonostante l'unica vista possibile, da lì, fosse quella di altri palazzi, e la sera incombente stesse nascondendo i dettagli in un manto d'ombra. In lontananza, brillò per un attimo il bagliore di un fulmine.
A volte se ne vedevano, ma erano perlopiù episodi isolati, non legati a fenomeni atmosferici.

Da quanto tempo non pioveva? Era possibile che quello laggiù fosse un temporale?

«Una cosa che non hai mai compreso, è che ciò che abbiamo non è nostro per sempre. Bisogna lavorare, lottare, per mantenere ogni privilegio, ogni stilla di potere che abbiamo conquistato.»
«Chi è, ora, che fa del moralismo?»
«Taci!» si voltò di scatto, e tornò al suo posto, fra i due automi da guerra. «I derelitti che abitano la città discarica sono tanti, molti più di noi. Vivono male, rotolandosi nel fango e nella loro stessa merda, come bestie. Ci odiano. Cosa succederebbe se, un giorno, si svegliassero e decidessero che questo non gli sta più bene, se si ribellassero a questo stato di cose?»

Nathan lo guardava a bocca aperta. «Allora, si tratta di questo?»

«Gli abbiamo dato qualcosa di meglio a cui pensare. Una malattia incurabile, incomprensibile, da cui guardarsi ad ogni respiro. E poi gli abbiamo fatto credere che la loro salvezza dipenda da noi, dalla nostra capacità di proteggerli dal contagio grazie al disinfettante. Abbiamo lasciato che si illudessero che una cura un giorno esisterà, che noi possiamo fornirgliela.»
«Invece non esiste la cura, perché non esiste la malattia.»
«Ma loro non lo sanno. Anzi, quasi nessuno lo sa.»
«È terribile!»
«È terribilmente geniale.» lo corresse. «E non è che uno dei passi che io e pochi altri illuminati abbiamo deciso di compiere, per garantire che le cose rimangano come sono ancora a lungo. Per mantenere i nostri privilegi.»

«Che altro hai fatto?»

Suo padre scoppiò a ridere e, proprio come quella fatidica sera, il suo corpo sembrò rigettare quel gesto inusuale con un colpo di tosse. «Se ti dicessi che questa era una prova generale?»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora